Se l'Italia è granitica in qualcosa, è nella sua capacità di dividersi. Non c'è Paese, nella storia della civiltà, più predisposto del nostro a spaccarsi su tutto. Il paradigma degli italiani, fin dal Medioevo, non è mai stato l'universale. Ma la contrada. Che per alcuni, a volte, è già fin troppo estesa.
Amiamo i campanili, i borghi, i comuni. Anche per la parola provincia, al plurale, abbiamo due grafie. Con la «i» e senza «i». Ma soprattutto amiamo follemente i partiti. Di cui esiste un numero più alto persino delle varietà vinicole.
E così succede che a Ingria, uno dei borghi più belli d'Italia, nel cuore della Val Soana, grande terra piemontese di vini e di democrazia, il prossimo 8 e 9 giugno si voterà, assieme alle Europee, per eleggere la nuova amministrazione comunale. Bene. Ingria è un comune (con ventuno frazioni...) fra i meno popolosi dell'intera nazione. Ha quarantasei residenti, più 26 iscritti per il voto all'estero, per un totale - esclusi i minorenni - di 65 aventi diritto. Ma ha trenta candidati e tre liste. Di cui due «imparentate»: in una c'è il candidato sindaco, nell'altra la mamma.
L'Italia è una grande famiglia. Litigiosissima.
Alla fine noi stessi non sapremmo scegliere fra «Progetto Ingria», «Ingria per tutti» e
«Ingria 100%». Temiamo siano il corrispettivo, a livello locale, della Destra, il Centro e la Sinistra. La stessa cosa, ma divisa in tre. Partiti diversi in quello che promettono, identici in quello che mantengono. Molto poco.
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