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A tavola durante la Quaresima: tra Fede, gusto e tradizione

Durante i 40 giorni che precedono la Pasqua vengono serviti piatti di magro, in osservanza della tradizione religiosa. Non per questo meno gustosi

A tavola durante la Quaresima: tra Fede, gusto e tradizione
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La Quaresima, periodo liturgico di 40 giorni che precede la Pasqua, è per la tradizione cattolica un tempo di penitenza e riflessione, ma anche di profonda creatività culinaria. In Italia, dove fede e cultura si intrecciano da secoli, questo periodo si traduce in un mosaico di usanze alimentari che raccontano storie di povertà, ingegno e devozione. Le regole del digiuno e dell’astinenza dalla carne, stabilite dalla Chiesa fin dal Medioevo, hanno plasmato ricette simboliche, trasformando limiti in opportunità gastronomiche.

Storicamente, il divieto di consumare carne e derivati animali come uova e latticini (in particolare il venerdì e nei giorni di digiuno stretto) spinse le comunità a reinventare la cucina quotidiana. Il pesce, considerato durante il Medioevo alla stregua delle verdure, divenne protagonista, soprattutto nelle zone costiere: il baccalà mantecato veneziano, servito con polenta ( di mais dopo la scoperta dell'America ovviamente), o le sarde a beccafico siciliane, farcite con pangrattato, pinoli e uvetta, sono esempi di come ingredienti umili venissero elevati a piatti ricchi di sapore. Nell’entroterra, invece, si privilegiavano legumi e verdure.

La minestra di fagioli toscana, la ciceri e tria pugliese (pasta con ceci) o la frascatula calabrese, una polenta di ceci di antichissima origine, testimoniano l’arte di rendere sostanziosi i prodotti della terra. Anche il pane assunse forme rituali: in Sardegna, su pani ’e saba, dolce al mosto cotto, o i pani quaresimali liguri, semplici e aromatizzati con erbe, diventavano simboli di sobrietà. Le verdure, spesso considerate “cibo povero”, venivano trasformate in prelibatezze: i carciofi alla giudia romani, fritti fino a sbocciare come fiori croccanti o i cardi gobbi piemontesi, stufati con burro e acciughe, dimostrano come la Quaresima fosse anche un’occasione per celebrare la stagionalità.

Non mancavano i dolci, preparati con ingredienti “magri” come miele, frutta secca o mosto. Le castagnole umbre, frittelle al limone, o la cupeta pugliese, un torrone di mandorle e miele, univano il rispetto delle regole alla dolcezza della tradizione.
Alcune festività interrompevano l’austerità quaresimale con note di golosità. Per San Giuseppe (19 marzo, la Festa del Papà), in Sicilia si prepara la cuccìa, dolce di ricotta e grano, mentre a Napoli e in Puglia trionfano le zeppole, frittelle ripiene di crema.
La Domenica delle Palme, in Lombardia, pani dolci a forma di colomba ricordano il simbolo di pace, anticipando la gioia pasquale. Ogni piatto nasconde un significato simbolico: il pesce, associato ad un'antichissima iconografia cristiana (Ichthys, acronimo greco di “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”), rimanda alla Fede. I legumi, che germogliano sotto terra, alludono alla resurrezione.

Oggi, molte di queste tradizioni sopravvivono in forma adattata: i ristoranti propongono menu quaresimali gourmet, rivisitando ricette storiche con tecniche moderne, mentre le famiglie mantengono vivi piatti che parlano di identità e memoria. Le tradizioni alimentari della Quaresima in Italia non sono semplici regole dietetiche, ma un patrimonio che unisce sacro e profano. Raccontano di comunità che hanno trasformato la necessità in arte, creando un dialogo tra spiritualità e cultura materiale.


Oggi, questi sapori invitano a riscoprire valori come la semplicità, la condivisione e il rispetto per gli ingredienti, rendendo la Quaresima non solo un periodo di rinuncia, ma un vero banchetto dell’anima, capace di nutrire corpo e spirito.

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