A volte sono i maschi a essere le vittime

Ai maschi è stata sempre imposta una cultura volta a soffocarne emozioni e debolezze. Essi sono sempre stati chiamati a mostrarsi forti, coraggiosi, virili, audaci

A volte sono i maschi a essere le vittime
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Caro Direttore Feltri,
innanzitutto grazie per la sua rubrica, che seguo fin dal principio e tutti i giorni. Le sono grato anche per il suo coraggio di difendere il sempre più defraudato sesso maschile e i suoi commenti mi hanno dato spesso forza incoraggiandomi a resistere contro le violenze subite dalla mia ex moglie. Da qualche mese ho compiuto quel passo che mi pareva impossibile: l'ho lasciata. E sto cominciando piano piano a risorgere dopo anni e anni di insulti, umiliazioni, mortificazioni, aggressioni verbali e anche fisiche, sebbene, vedendomi, pochi riuscirebbero a credere che io, maschio alto e robusto, possa essere stato vittima di violenza da parte di una donna. L'apparenza inganna e certi stereotipi non fanno altro che nuocere alla giustizia e a chi, come me, è ideologicamente poco credibile nelle vesti della vittima, pur essendolo, ahimè. Non ho una domanda da porgerle, le ho scritto solo per manifestarle la mia gratitudine.
Giacomo Villa

Caro Giacomo,
ai maschi è stata sempre imposta una cultura volta a soffocarne emozioni e debolezze. Essi sono sempre stati chiamati a mostrarsi forti, coraggiosi, virili, audaci. Persino oggi che l'uomo è stato svirilizzato e il testosterone è divenuto qualcosa di negativo, da combattere e rigettare, resiste questo pudore nel mostrare le nostre più autentiche e intime fragilità. Tuttavia, sono proprio queste ultime a renderci esseri umani, a prescindere dal genere. Dunque, cosa accade? Da un lato, è sempre più diffusa l'immagine di maschio femminilizzato, un modello questo di maschio percepito come inoffensivo, tendente all'omosessualità quando non dichiaratamente gay; dall'altro, resistono i germi di quella cultura machista che pretende che non piangiamo, non soffriamo, non siamo mai deboli, non crolliamo mai e non subiamo mai. Ecco, quindi, che accade che tanti uomini vittime di violenze di genere, ossia vessati da ex fidanzate o ex mogli, o anche estranee che semplicemente li hanno presi di mira, siano reticenti nel denunciare le condotte patite o anche soltanto nel confidarle ad amici e familiari. Si teme di non essere presi sul serio, di venire derisi, giudicati, ritenuti stupidi, inetti, esageratamente morbidi, assolutamente poco gagliardi. Il maschio oggi traballa tra questa richiesta sociale di annullamento della sua mascolinità, definita tossica, e questa richiesta opposta di essere maschio. Non andare in confusione è impossibile.

Purtroppo hai ragione, è dominante il pregiudizio che vuole la donna sempre vittima dell'uomo, mai che possa essere il contrario. Così è sufficiente che una lei punti il dito verso un lui per fare di questi un mostro, prima ancora di un rinvio a giudizio, di un processo, di una condanna.

Pongo un esempio recentissimo e, a mio avviso, molto emblematico. Venerdì scorso, a Taranto, una signora di 45 anni ha travolto con l'auto un uomo, il suo ex compagno, il quale camminava tranquillamente su un marciapiede nel pieno centro della città pugliese. La donna non era sola, in macchina con lei c'era la figlia, una bimba di 7 anni, di cui ella non si è preoccupata. Infatti, dal suo proposito di investire e fare fuori l'ex la donna non ha desistito pensando magari al trauma fisico e psicologico che l'evento avrebbe potuto produrre nella sua figlioletta. Tu o altri potranno domandarsi come io possa concludere che non si sia trattato di un semplice incidente bensì di una aggressione. Bene, gli inquirenti sono convinti che si sia trattato di un tentato omicidio in quanto colei che era al volante è balzata giù dal veicolo, si è avvicinata all'uomo investito e ha urlato: «Non sei morto? Perché non sei morto? Perché non muori?». Insomma, la tizia, che non ha chiamato i soccorsi abbandonando pure la vettura sulla via, lo voleva steso. Nella tomba.

I giornalisti, anche quelli di sinistra che ci fanno sempre la predica sull'opportunità di utilizzare un linguaggio corretto, inclusivo, non offensivo, non discriminante, non equivocabile, hanno parlato di tentato omicidio passionale, aggettivo quest'ultimo che è stato vietato da lustri nel lessico giornalistico in riferimento agli omicidi eseguiti dai maschi e che hanno per vittime soggetti di sesso femminile, in quanto si ritiene che con esso in qualche maniera si giustifichi il reato commesso, si scada nell'equivoco, si attenui la colpa del criminale, dando inoltre più risalto al movente (la gelosia, la passione) che non alla vittima.

Insomma, si può ancora parlare di omicidio passionale quando l'autore è donna, quando è uomo allora occorre parlare di femminicidio e riempire pagine e pagine e pagine di giornale.

Questa non è una forma di discriminazione di genere?

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