
Anche le chat di WhatsApp possono essere a tutti gli effetti utilizzate come prove documentali su supporto informatico qualora siano in grado di avvalorare operazioni finanziarie non dichiarate o di dimostrare un'evasione fiscale, stante quanto previsto dall'art.2712 del codice civile. Grazie alla sentenza della Cassazione, quindi, in caso di accertamenti fiscali da parte dell'Agenzia delle entrate o della Guardia di finanza, le conversazioni intrattenute dagli indagati tramite la celebre app di messaggistica istantanea di Meta sono da considerare probanti in un processo tributario.
Attraverso le chat di una delle applicazioni più utilizzate al mondo, e non solo in quelle degli account business creati generalmente proprio a scopi lavorativi, vengono condivise informazioni di ogni genere, per cui, per quanto non con grande frequenza, vengono talvolta disposte intarcettaziooni da parte delle autorità. Anche nei casi in cui queste non siano state concesse, tuttavia, le chat di WhatsApp possono essere utilizzate con finalità probatorie.
I testi tratti da queste conversazioni, anche private, costituiscono prova in tribunale esattamente come accade per gli SMS, qualora il soggetto contro cui sono utilizzate non ne contesti la conformità alla realtà: questa la rivoluzionaria sentenza 1254/2025 della Suprema Corte. Per poter essere ritenute pertinenti e valide, ovviamente, va comprovata innanzitutto l'autenticità della loro provenienza, ovvero deve essere dimostrabile "che il messaggio provenga da un dispositivo identificabile e che la trasmissione e la conservazione non ne abbiano alterato il contenuto". In secondo luogo va attestata l'affidabilità e integrità del contenuto: strumenti tecnici ed eventuali perizie forensi devono certificare"che il contenuto non sia stato manipolato e rispecchi fedelmente la comunicazione originaria".
La Cassazione ha inoltre puntualizzato nella sua sentenza che il testo può essere acquisito come prova in tribunale tramite una riproduzione fotografica, vale a dire attraverso un semplice "screenshot": ciò significa che se la parte accusata ha cancellato la chat per non lasciare prove, la controparte potrà produrre un'istantanea del messaggio a sostegno della propria causa. E questo non è un elemento di secondo conto, dal momento che nei processi tributari le prove documentali sono ritenute più valide e affidabili di quelle testimoniali
Una prima apertura da parte degli Ermellini in tal senso si era già avuta con la sentenza 170/2023, quando fu sancito che l'acquisizione di email o messaggi WhatsApp da un apparecchio sequestrato non fosse da ritenere alla stregua di un'intercettazione e non rendesse quindi necessario ottenere prima una specifica autorizzazione. Per intercettazione, si legge infatti nella sentenza S.U.
36747/2003, è da intendersi"l'apprensione occulta, in tempo reale, del contenuto di una conversazione o di una comunicazione in corso tra due o più persone da parte di altri soggetti, estranei al colloquio". Un'acquisizione effettuata successivamente fa decadere questa condizione per cui non va condiderata "intercettazione".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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