Non solo «Colazione da Tiffany». Non solo «Sabrina». Non solo «Vacanze romane». Anche se valse un Oscar. Quello per la miglior attrice protagonista. Era il 1954. Per altri film - altrettanto celebri - ricevette nomination ma non ne vinse più. Lei è Audrey Hepburn, una delle dive più affascinanti di Hollywood e non tanto per il suo aspetto estetico che, anzi, spesso la penalizzò. Magra, ossuta, completamente priva di seno, decisamente alta, occhioni penetranti e narici dilatate, la Hepburn aveva tutto quello che normalmente non era richiesto per diventare sex symbol. Tuttavia il solco che lasciò nel pubblico e negli appassionati fu profondissimo. E ora il volume «Audrey Hepburn, la principessa di Tiffany» (Gremese, pp. 189, 25 euro) ne celebra la figura.
Emblema di una femminilità fortissima e accentuata, con un carattere dolce da eterna bambina, quella che doveva essere una ballerina di luminoso avvenire si trovò a diventare una delle più acclamate attrici, dimenticando tutu e camminate sulla punta. Lei che, ancora sconosciuta, aveva «rubato» il ruolo della principessa a Jean Simmons ed Elizabeth Taylor, si ritrovò al fianco di un deluso Gregory Peck, per una delle pellicole più acclamate e suggestive del cinema mondiale. Se le due dive non si erano volute rendere disponibili per «Vacanze romane» e il già celebre Peck snobbò il film perché si era reso conto che il ruolo più importante era quello femminile, Audrey fece valere tutta se stessa. Wyler volle una sconosciuta e il provino, a Londra, fu fatto con un trucco. La telecamera venne lasciata aperta - all'insaputa della Hepburn - anche una volta terminata la prova. Il risultato fu strabiliante. Audrey ottenne la parte e vinse l'Oscar.
Due mariti - l'attore americano Mel Ferrer e lo psichiatra italiano Andrea Dotti - due figli avuti da ciascun uomo che sposò, Audrey Hepburn seminò molti cuori. Su tutti quello di William Holden che perse letteralmente la testa per lei, pur essendo sposato e con una famiglia alle spalle. A far desistere la Hepburn, un particolare che «demolì» quell'uomo gentile, affascinante, premuroso e protettivo di gran lunga più in là con gli anni di lei. Holden, che ha sempre avuto col sesso un rapporto soffertissimo, si era fatto sterilizzare e Audrey voleva fortemente un figlio. Non se ne fece nulla, ma Holden, che la conobbe sul set di «Sabrina», faticò a riprendersi da quell'innamoramento fortissimo. Eppure quello stesso film segnò la discordia con Bogey, l'altro protagonista maschile, uomo ombroso e altezzoso che la considerò «una piccola arrivista senza esperienza» ed ebbe furibondi litigi con il regista di origini ebree Billy Wilder, col quale si scambiarono pesantissimi insulti.
Tuttavia ridurre Audrey Hepburn a questi tre film, benché importantissimi, sarebbe limitativo. La Hepburn è stata anche «My fair lady» il musical di George Cukor dove prese il posto che inizialmente fu pensato per Julie Andrews (l'indimenticata Mary Poppins), o la famosa commedia di William Wyler «Come rubare un milione di dollari e vivere felici», fino agli ultimi lavori «...E tutti risero» di Peter Bogdanovich, una satira sui detective spia, ingaggiati per seguire due donne a New York e inevitabilmente prede del loro cuore, o «Always» di Spielberg dove la Hepburn recita nei panni di un angelo.
Quella donna che aveva sedotto uomini e pubblico, anche in età avanzata non smetteva di esercitare il suo fascino. Stavolta era quello di donna caritatevole che, per conto dell'Unicef, si occupava dei bambini più poveri che soffrivano e - spesso - morivano in Africa in condizioni disperate. «Ho avuto il privilegio di parlare a nome di quei bambini che non possono farlo... salvare una vita è una benedizione del cielo. Salvare milioni di vite è un'opportunità data da Dio» ebbe a dire dell'attività cui si sarebbe dedicata negli ultimi anni di vita. Anche quando il male che l'avrebbe uccisa, segnò il suo volto e le sottrasse energie.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.