Entri in una sala qualsiasi e stanno proiettando Ritorno al Futuro. La Nintendo ha appena rilasciato un giochino che sortirà un discreto successo: si chiama Super Mario Bros. Nel frattempo, Microsoft presenta la prima versione di Windows. Un fermento senza precedenti. Sì: sei decisamente nel 1985.
È la faglia spazio-temporale giusta, del resto, per andare ad esplorare uno dei flop più monumentali nella storia della produzione della auto di lusso. Circostanziamo e riduciamo l’inquadratura. Stati Uniti. Detroit. Roccaforte della General Motors. Facce che schiumano rabbia. La Mercedes Benz ha piazzato da tempo gomiti acuminati sulla fetta di mercato più ricca, quella che ospita le cabrio di lusso. La sua sontuosa SL spopola. Da queste parti decidono che hanno deglutito abbastanza. Serve una risposta. E deve essere formidabile. Nasce così, come reazione isterica alla dominante posizione tedesca, uno dei progetti più folli di sempre: la Cadillac Allanté. Il mantra è evidente: comfort, percezione di privilegio diffuso, prestazioni scintillanti. Dal concetto alla rappresentazione tangibile però ci passa un mare. Anzi, un oceano. Letteralmente.
Performance, una perfetta sconosciuta
Progettisti al lavoro. Linee che incidono cumuli di fogli. Per generare una replica tellurica capace di spostare il colosso tedesco, serve tutta la concentrazione pensabile. Se parti male però, difficile che tu possa rivelarti un cavallo vincente. La prima pensata appannata è quella di voler realizzare una roadster a due posti sul logoro pianale delle berline di casa, la Cadillac Eldorado e la Buick Riviera. Motore V8 a trazione anteriore, un gingillo da 4.1 litri, per 170 CV. Esito che innesca perplessità galoppante: come può sfornare prestazioni ruggenti?
Un montaggio fuori da ogni logica
Il peggio però deve ancora venire. Accecati dall’ansia da prestazione, quelli della General Motors incorrono nel classico tranello che insidia ogni manager al mattino. No: fare tanto non equivale a fare bene. Che il confine tra i due concetti sia più che sdrucciolevole lo capisci subito. Cadillac commissiona il design della vettura a Pininfarina. Il ragionamento pare nitido: una zaffata di buon gusto italiano intriderà la due posti dell’effervescenza che serve. C’è una crepa, però. Ed è tutta contenuta nell’accordo tra le due aziende. A Torino immaginano che la richiesta sarà ingente. Propongono di assemblare loro una parte dell’auto. Gli americani accettano. Allora costruiscono una fabbrica apposita, a San Giorgio Canavese, per appiccicare insieme le sole carrozzerie della Allanté. Solo che poi, una volta completate, devono essere portate all’Aeroporto. Imbarcate su un Boeing 747 dedicato. Trasportate a blocchi di 56 alla volta dall’altro lato dell’oceano, per essere completate, a Detroit. Qui la parte meccanica va a conoscere la scocca. Ma è uno scherzo da oltre 7mila km. La catena di montaggio più lunga di sempre.
Un epilogo inevitabile
I costi lievitano, sospinti dal surreale procedimento d’assemblaggio. La scelta dei materiali e delle componenti meccaniche fa storcere il naso fin da subito. Quel che ne deriva è una vettura con un prezzo da far tremare i polsi. La Allanté viene più di ogni altra Cadillac. Più anche della rivale Mercedes. Ma le prestazioni e l’estetica non sono paragonabili alla sfidante teutonica. Lati vulnerabili che ne decretano il fallimento. Pur essendo l’ammiraglia di General Motors, bastano sei anni per inabissarsi.
Verrà mestamente ritirata nel 1993, con poco più di ventimila esemplari all’attivo. Alla General Motors ruminano amaramente, di nuovo. Un pezzo di storia scritto, certo. Ma adoperando la grammatica più sconclusionata di sempre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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