Cosa sono stati gli anni ‘60 ce lo raccontano le rivoluzioni, le lotte per i diritti, le sanguinose guerre, le grandi scoperte e i tanti personaggi di caratura straordinaria, che hanno cambiato il volto e la storia dell’umanità intera. In uno scenario dove i costumi mutano in modo verticale, il settore dell’auto vive un periodo di transizione, i gusti e le esigenze degli automobilisti sono diverse rispetto al passato. In questo panorama turbolento e frenetico, nel 1967, a Parigi, viene presentata la Citroën Dyane. Un’auto che si affermerà soprattutto in Italia, per il suo essere sinonimo di autentica libertà. Un simbolo di anticonformismo, di avventura e divertimento. Sarà una fedele compagna soprattutto per i giovani, ma anche per coloro che cercheranno spazio e praticità a buon prezzo.
Gli italiani la faranno entrare dalla porta di casa come un’amica, le vorranno bene come nessun altro. Il suo inconfondibile motore bicilindrico è stata la colonna sonora di innumerevoli viaggi per tantissime persone, la Dyane ha significato famiglia, amicizia e amori, tutti quanti uniti sotto a quella capote in tela dal puro spirito di evasione. Ancora oggi è numerosissima la schiera di innamorati al suo seguito, alcuni perché la custodiscono gelosamente in garage nonostante l’incedere del tempo, altri poiché la possiedono nel cuore e nella memoria dei bei tempi andati. Abbiamo parlato di questo incredibile veicolo con Ilaria Paci, presidente del Centro Documentazione Storica Citroën, che ci ha raccontato vita, morte e miracoli di questa tuttofare francese e del perché sia stata un fenomeno commerciale soprattutto nel Bel Paese.
Partiamo dal principio: come nasce la Dyane, qual è la sua genesi?
"Dyane nasce per un motivo e poi prende una direzione completamente diversa. Siamo nella metà degli anni ‘60, Citroën acquista il marchio Panhard e tra i vari progetti pensa un restyling della 2CV, o addirittura a un’auto che la potesse sostituire perché ormai ritenuta vecchia e in declino. C’è la volontà di dar vita a una vettura più moderna, razionale e leggermente più spaziosa, dunque si affidano al centro stile di Panhard per concepire una bicilindrica che segua questo ordine. Mancano però il budget e le risorse per qualcosa di completamente nuovo, dunque i tecnici sono obbligati a utilizzare lo stesso pianale della 2CV, ad adottare le medesime motorizzazioni e a sfruttare molte parti della sua componentistica. Da questo studio diretto da Louis Bionier prende forma la Dyane, ma c’è un fatto sorprendente e non calcolato: la 2CV continua a piacere e ad avere successo. Mancherà di fatto il secondo passaggio, ovvero non ci sarà la sostituzione della 2CV ma un semplice affiancamento sul mercato da parte della Dyane. La stranezza è che l’auto da mandare in pensione, sarà più longeva della sua sostituta, perché la Citroën 2CV arriverà fino al 1990 a differenza di tutte le altre bicilindriche da essa derivate".
Come le è stato attribuito questo nome?
"Come spesso accadeva in Citroën, il nome era un mix tra la sigla di progetto e una cosa che suonasse piacevole, come ad esempio: la DS era la dea dell’automobile, mentre la sua versione più spartana ID, in francese suonava “Idée” come “idea”; oppure l’Ami 6, che nella lingua madre diventava “amicis”, amicizia. Nel caso di Dyane continuarono con la tradizione dei nomi femminili, ma la decisione definitiva fu del designer René Ducassou-Péhau, che fece una crasi tra la sigla di progetto, AY, e un omaggio ad uno dei modelli iconici di Panhard, la Dyna: AY più DYNA uguale Dyane, et voilà!".
Quali sarebbero i suoi punti di forza?
"Essere spartana sì, ma utile. Tutto quello che è presente su Dyane ha motivo di esserci. Non c’è una cromatura che non abbia uno scopo ben preciso. Il suo punto di forza maggiore, però, è il suo essere pratica. Se tu avevi bisogno di una vettura valida, sicura e che ti portasse dappertutto, Dyane rispondeva a queste esigenze. In più, non ci si pensa quasi mai, ma quest’auto è a tutti gli effetti una cabrio. Si poteva viaggiare con il tettino apribile per godersi l’aria, o per caricare qualcosa in verticale. Queste cose la rendevano sicuramente più accattivante. Sul lato pratico, invece, aveva dei consumi bassi e una facilità di manutenzione estrema, perché riprendeva al detto “quel che non c’è, non si può rompere”. Anche il prezzo era interessante, perché da nuova – negli anni ‘70 - costava 635.000 lire. D’altronde il target a cui era destinata, non era di certo danaroso".
Nonostante le dimensioni, la comodità e la praticità erano all’ordine del giorno...
"Sì, proprio come la 2CV, la Dyane aveva dei divanetti molleggiati e quattro posti confortevoli. Alcune versioni possedevano, addirittura, dei sedili posteriori che si potevano ribaltare in avanti e, quindi, facevano guadagnare più spazio di carico. Una particolarità per le vetture destinate all’Italia era la placca beau, una specie di parafango, una lamiera nera che proteggeva il sotto scocca".
Come mai la Dyane ha fatto così breccia nel cuore degli italiani, mentre da altre parti ha avuto un successo più tiepido?
"In Italia ha funzionato per un sequenza di fattori diversi. La Citroen 2CV – una vettura nata negli anni ‘50 - è stata l’icona che ha motorizzato la Francia, specie quella contadina, ma dalle nostre parti non ha così attecchito immediatamente perché c’erano già state le Fiat 500 e 600 a motorizzare gli italiani, inoltre la francesina era ritenuta un’auto dallo stile barocco, per vie delle sue forme particolari. Quando la Dyane è stata presentata nel 1968, invece, è stato amore a prima vista. Ha inciso sicuramente la sua forma, che a differenza della 2CV era più razionale, meno stravagante e maggiormente rassicurante; in più la grande campagna pubblicitaria che fu organizzata dalla B Communications per il Bel Paese ha facilitato la sua penetrazione nel mercato. Un altro dei motivi da non sottavaltuare, per i quali Dyane ha avuto un miglior riscontro rispetto alle prime 2CV in Italia, è l'apertura del MEC, il mercato comune che portò a una notevole facilità di passaggio delle merci tra gli stati rispetto a quanto non accadesse prima, soprattutto per via dell’abbassamento dei dazi".
In che modo la pubblicità ha colpito l’immagine degli italiani?
"La B Communications ebbe la capacità di coniugare l’aspetto di Dyane con uno spirito giovanile, divertente e giocoso. Nacquero, quindi, vari slogan tra i quali “Dyane, l’auto in jeans” o “Un mostro di simpatia”. La campagna pubblicitaria non fu soltanto fotografica in modo classico, ma anche disegnata. Riuscirono a far passare il messaggio che, se tu fossi una persona dinamica, che vuole viaggiare e andare all’avventura, la Dyane sarebbe stata l’auto ideale per te".
Dunque, con questa grandiosa macchina di promozione si cercava di catturare l’attenzione soltanto dei più giovani, o anche di un pubblico differente?
"L’appeal suscitato da questa propaganda non stimolava soltanto i più giovani. Bisogna ricordare che la Dyane nasce negli anni ‘70, un periodo in cui si organizzavano grandi viaggi in auto, spedizioni avventurose, raid verso mete esotiche come l’India. Un mezzo come la novella Citroën era visto come simbolo di libertà, di anticonformismo e di una certa filosofia di vita. In più aveva un altro aspetto che, in combinata con la pubblicità, ha giocato a favore del suo successo in Italia: l’essere pratica e maneggevole. A questo proposito, furono lanciati degli slogan, ma si potrebbe dire più dei parallelismi, come “uno scooter da città, un pulmino da weekend”, che esaltavano le varie anime della Dyane, per far capire alla gente che la si poteva utilizzare tanto in ambito urbano, quanto per le gite fuori porta in compagnia. Ed era proprio così, a bordo della Dyane si viaggiava comodi anche in quattro, più che in auto di categoria superiore".
Perché in Francia, invece, hanno continuato a preferire la 2CV, solo per un motivo affettivo?
"In patria la 2CV è considerata un mostro sacro, che non si può toccare, perché a partire dagli anni ‘50 aveva motorizzato la nazione intera, specie la Francia contadina. Ce ne erano tantissime quando è nata la Dyane e il legame continuava a essere forte. È un simbolo nazionale, tanto che nel 1990, quando uscì di produzione, nacque un movimento organizzato dai club collezionisti di Citroën Deux Chevau che fece girare, in tutti raduni di ogni nazione, pezzi di carrozzeria di una 2CV sui quali le persone misero il proprio nome. Alla fine, i pezzi vennero riassemblati e prese forma una 2CV intera che aveva il compito di essere una raccolta firme in “carne e ossa” con preghiera, indirizzata alla casa madre, di non stoppare la sua fabbricazione. In poche parole, 2CV non poteva essere sostituita, ma Dyane si ritagliò il suo spazio. Anzi, in Italia, grazie proprio a quest’ultima la 2CV ottenne una seconda giovinezza negli anni ‘80, con tutte le sue serie speciali".
Con gli occhi di una persona di oggi, come descriveresti la Dyane?
"Forse con le stesse parole di chi l’aveva descritta all’epoca: la libertà su quattro ruote. Forse adesso ancora di più, perché è tornata in possesso del suo slogan, un’auto in jeans, pratica e divertente. Diciamo che ha mantenuto le promesse fatte quando è nata, è rimasta fedele a sé stessa. Tra i collezionisti e appassionati viene vissuta proprio così. Oggi ha guadagnato una dimensione simile a quella di 2CV, anche se questa ha delle versioni molto quotate e particolari, tuttavia possiamo dire che su quelle normali, anche Dyane ha ottenuto la sua fetta di estimatori che non la sostituirebbero mai con un’altra automobile".
All’interno della gamma Citroën attuale, c’è un modello che ne raccoglie il testimone, anche semplicemente a livello spirituale?
"Per quello che riguarda l’eredità spirituale le ultime “C” possono essere simili a livello di concetto, perché come Dyane era pratica e sfruttabile dappertutto, adesso che si sta attenti all’elettrico, ai consumi e alla modularità di un veicolo, queste vetture rientrano perfettamente nella categoria".
Per concludere, che cosa rappresenta la Dyane nel mondo di Citroën?
"Di nuovo bisogna fare una distinzione tra l’Italia e il resto del mondo. In Italia la Dyane è stata la concorrente spietata della Renault 4, mentre nel resto d’Europa è stata meno battagliera e sta avendo una riscoperta negli ultimi tempi.
Bisogna, però, aggiungere che ha avuto una “sorellina” di grandissimo respiro, la Mehari, che è nata come Dyane 6 Mehari. Un modello, quest’ultimo, che ha portato al massimo il concetto di spartanità e praticità nella sua forma da spiaggina, divenendo un'icona".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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