C'è un'Italia che corre, che innova, che è orgogliosa di essere italiana. La vedi negli uffici di via Bicocca degli Arcimboldi 3 e nei laboratori. È un'Italia che si sente fiera di essere pirelliana e di far parte di una azienda storica, fondata a Milano nel 1872 e diventata oggi uno dei maggiori produttori di pneumatici al mondo, l’unico a essere interamente focalizzato sul mercato Consumer, con prodotti e servizi destinati ad auto, moto e bici. L'eccellenza ha sede qui, nel quartiere Bicocca. È qui che nascono e si sviluppano le idee. Il segmento “High Value” è un marchio globale dalle forti radici italiane, noto per le sue tecnologie all'avanguardia, l'eccellenza produttiva, la passione per l'innovazione e la costante attenzione alla riduzione dell’impatto ambientale.
La passione la vedi negli occhi di chi ti apre la stanza semianecoica dove si analizza e ascolta il "suono" dello pneumatico, la vedi negli occhi di chi in cabina di analisi testa la gomma in condizioni estreme, la vedi negli occhi di chi ti spiega le mansioni di ogni reparto, di chi ti racconta la storia di Pirelli dalle stanze del museo, la ascolti nelle parole di Fabio, "sgorbiatore" che con la sua mano scalpella lo pneumatico trattandolo come una scultura e che ti confessa che non c'è cosa più bella di quella che fa da 24 anni, la vedi negli occhi della squadra di giovani ingegneri che nella stanza del simulatore virtuale svolgono test in collaborazione con diverse case automobilistiche. E la vedi anche negli occhi dell'ingegnere Pierangelo Misani, vice presidente esecutivo Ricerca e Sviluppo e Cyber di Pirelli.
Misani, cosa vuol dire essere un "pirelliano"?
"Aver voglia di eccellere, competere, mettersi in gioco, lavorare in un mondo competitivo. Ma anche misurarsi con gli altri e fare meglio di loro. Essere più veloci degli altri. Noi non siamo grandi come altri brand nel mondo dei pneumatici ma proviamo ad essere più rapidi, veloci, flessibili e innovativi. Mi lasci spiegare il concetto di innovazione, che per noi non riguarda solo il settore della ricerca e dello sviluppo. È qualcosa di generale. La digitalizzazione è pervasiva in tutte le aree dell'azienda, e questo è un fattore di competitività importante. Inoltre c'è sempre un spirito di squadra. Non vedrà mai, qui da noi, un one man show. Al contrario, troverà una squadra che viaggia fortissima. Questa è l'essenza della “pirellianità”".
Lei è in azienda da moltissimo tempo, quali sono le sfide che ricorda con maggiore soddisfazione?
"Sì, quest'anno taglio il traguardo dei 38 anni nell'azienda. Ho iniziato nel mondo dell'aeronautica, ma la mia sfrenata passione per la moto mi ha successivamente portato in Pirelli. È successo precisamente nel febbraio del 1985. Sono entrato per seguire l'attività sportiva moto. Ci fu subito la prima sfida di innovazione da affrontare: la radializzazione del pneumatico moto. Nel tempo lo pneumatico ha avuto numerose evoluzioni, anche delle vere e proprie rivoluzioni. La più grande è stata forse quella della radializzazione. È avvenuta nel vettura prima che nel moto. Sono quindi seguite altre trasformazioni. Come Pirelli, abbiamo portato un'altra innovazione innalzando il livello di prestazioni: lo pneumatico ribassato. Tornando alla mia storia, ad un certo punto mi hanno spedito in Germania, nella fabbrica di Metzeler. Deve infatti sapere che come Gruppo Pirelli gestiamo due first brand: Pirelli e Metzeler come moto. Ho trascorso quattro anni nello stabilimento tedesco ribaltando la fabbrica come un calzino per riuscire a trasformare tutti i processi produttivi. È stata una parentesi bellissima che mi ha fatto maturare esperienza sia nel mondo della ricerca e dello sviluppo e che in quello industriale".
Come è stato accolto in Germania un italiano che “rivoluziona” tutto?
"Un italiano che arriva lì, soprattutto agli inizi della carriera, deve farsi conoscere. I tedeschi hanno dalla loro parte una caratteristica importante: una volta che riconoscono la tua competenza e la tua voglia di far crescere la squadra, ti seguiranno alla morte. In un primo momento sono comunque rimasti perplessi. Si sono trovati davanti un italiano arrivato con qualcosa che nessuno aveva mai fatto. Come Pirelli portammo infatti una tecnologia sulla quale pochi avrebbero scommesso: quella dello zero gradi di acciaio. All'epoca, nel moto, un'evoluzione del genere fu scioccante. Nel contesto della fabbrica tedesca mi ha aiutato molto l'esperienza pregressa accumulata come ufficiale nell'aeronautica. Il mio primo lavoro in quel mondo fu ingegnere in un centro manutenzione, con i sottufficiali di grande esperienza - ventennale e trentennale - che si sono ritrovati davanti un “tenentino” a dirigerli. In Germania è stata la stessa, identica cosa. Una volta acquistata la fiducia della fabbrica, ho intrapreso un percorso fantastico. Pensi che in seguito, ogni volta che ho rivisitato lo stabilimento, è sempre stato come tornare a casa. Del resto, durante la mia permanenza, aveva preso forma un gruppo compatto che credeva nel valore dell'eccellenza e puntava verso lo stesso obiettivo. È la “pirellianità”. La sentiamo forte ed è ovunque. In Brasile, ad esempio, il brand Pirelli è uno dei lovemarks del Paese. In Germania è la stessa cosa".
In base alla sua esperienza in Pirelli saprebbe dire qual è l'area dell'azienda che più ha subito l'influenza dell'innovazione e dell'evoluzione tecnologica e quale, invece, quella che potrebbe dare di più?
"Da noi l'innovazione è pervasiva. I vertici aziendali credono all'innovazione e investono molto. Ci viene richiesto tanto in termini di innovazione ma ci viene anche dato tutto quello che serve. Non vengono mai lesinati investimenti e risorse. In termini di percentuali di fatturato, anzi, siamo tra quelli che investono di più in R&D. Nel 2021 Pirelli ha investito in Ricerca e Sviluppo circa il 6% dei ricavi del segmento “High Value”, uno dei livelli più elevati del suo comparto. Sempre nel 2021 l’azienda ha registrato ricavi complessivi pari a oltre 5,3 miliardi di euro. In tutte le aree c'è sempre stata un'innovazione voluta. Le faccio alcuni esempi. Il passaggio del moto zero gradi è stata una grande innovazione nel moto. Poi c'è stato il passaggio alle tecnologie delle gomme verdi, la silice, agli inizi degli anni' 90. Quindi abbiamo avuto l'innovazione delle Specialities, tipo i runflat. Siamo stati i leader dei runflat a partire dal Duemila in avanti, con questa innovazione che ha portato ulteriore sicurezza (in caso di foratura non è necessario fermarsi). Vede, potrei elencare decine di momenti di innovazione. L'ultima se vogliamo è quella del cyber. A seconda del momento storico, dei macrotrend dell'industria, e a seconda delle disponibilità delle tecnologie che non arrivano direttamente dal nostro mondo - penso alla digitalizzazione – ecco che ci troviamo di fronte ad aree che subiscono un'accelerazione più di altre. Non posso dire che ne esista una più innovativa delle altre. Sono tutte interconnesse tra di loro. Ci tengo a sottolineare anche che per noi l'innovazione non si limita soltanto al prodotto. Si estende ai processi di fabbrica. Siamo, infatti, quelli che ad esempio hanno portato fabbriche altamente flessibili, modulari e robotizzate in maniera da permettere di sostenere ancora la produzione in Paesi high cost. Abbiamo ancora la produzione in Germania e in Italia, ma in questi Paesi realizziamo le eccellenze. E questo grazie all'innovazione di processo e del manufacturing. Siamo nel bel mezzo di una fase di implementazione della digitalizzazione della parte industriale. Quindi, ripeto, l'innovazione non riguarda un'area specifica. È veramente pervasiva".
Quanto tempo passa mediamente da quando nasce un'idea a quando viene messa in pratica?
"Dipende dalla tipologia del prodotto. Alcuni Best-case vengono realizzati nel giro di un anno, come il Powergy fatto in piena pandemia. Si parte dalla cosiddetta Marketing Specs e si decide cioè quale fisionomia dovrà avere lo pneumatico. A quel punto si lavora fino alla Technical Release. Fissato come si fa il prodotto, ci attrezziamo e iniziamo a produrlo. Mediamente impieghiamo un paio di anni. I progetti di primo equipaggiamento delle vetture seguono invece il timing della vettura che è più lungo. Sono loro a dettare i tempi".
State puntando molto sulla sostenibilità. C'è il programma Eco-Safety Design che è un po' il vostro fiore all'occhiello. Di che si tratta?
"Nel mondo dell'automotive stiamo assistendo ad un'accelerazione mostruosa verso la sostenibilità. Noi non siamo il traino. Dobbiamo però sottolineare che Pirelli è sempre stata storicamente riconosciuta come un brand legato al mondo della performance, a partire dalla nostra eposizione nel mondo del motosport e della Formula 1. Il nostro dna è quello di un brand iconico, accattivante, legato alla citata Formula 1, alla competizione e alle prestazioni. Abbiamo quindi innestato la linea guida di sostenibilità sulle prestazioni. Ebbene, noi non misuriamo le prestazioni soltanto nel raggiungimento della massima performance in una gara. Le prestazioni sono il modo per garantire all'utente medio la possibilità di avere un margine di sicurezza in tutte le situazioni. Le spiego meglio. Se noi sviluppiamo uno pneumatico rain, con certi livelli di caratteristiche di drenaggio dell'acqua, non è perché ci aspettiamo che qualcuno in autostrada voglia imitare un pilota. Lo sviluppiamo, semmai, perché mettiamo in quel prodotto tutte le tecnologie necessarie per innalzare il suo livello di sicurezza. Non conta ciò che lo pneumatico può offrire in una condizione “normale”, ma in una di emergenza, durante una manovra estrema. Il mondo della performance per noi è la sicurezza. Il mondo della sostenibilità è il futuro. Unire le due cose è la chiave di volta dell'innovazione di Pirelli e del nostro successo. Performance e sicurezza, insomma, non devono essere viste in antitesi. L'Eco-Safety Design è la nostra linea guida che accoppia il nostro dna legato alla performance, e cioè alla sicurezza, con quello che è il trend di sostenibilità nel mondo dell'automotive".
Quali sono le prossime sfide?
"Siamo stati tra i primi ad affrontare la sfida del mondo dei dati. Se lo pneumatico riesce a fornirci notifiche sotto forma di dati della sua zona di contatto, di come si comporta e funziona, allora è chiaro che abbiamo il potenziale per migliorare le informazioni che servono a chi costruisce le vetture. In particolare, per quanto riguarda la gestione dei controlli di sicurezza di una vettura. Per questo ci siamo buttati sull'avventura del cyber. Oggi abbiamo ottenuto qualche risultato relativo all'interazione tra lo pneumatico e la vettura. Detto altrimenti, il cyber fornisce dati di sé stesso alla vettura per poter interagire con l'elettronica della stessa. Cosa aspettarsi dal futuro? Il discorso appena fatto si allargherà alla rete. Non ci sarà più un dialogo limitato tra lo pneumatico e la vettura. Il primo aiuterà a diffondere i dati da vettura a vettura ma anche da vettura a infrastruttura. Nell'ambito del 5G, noi siamo poi membri del 5GAA, che ragiona su come questi dati miglioreranno l'informazione a livello infrastrutturale. Come se non bastasse, se pensiamo al futuro dell'autonomus driving – per tempistiche ancora non certo e neppure vicinissimo – troviamo altre sfide interessanti. In quelle condizioni sostituiamo il nostro modo di guidare con una guida autonoma. Ma in che modo guidiamo a cose normali? Sulla base dei sensi. Se però non siamo più noi quelli che decidono il da farsi, e se la palla passa alla vettura, dove si trovano allora i suoi ricettori? Ci sono i sistemi radar ma anche lo pneumatico, con la sua sensorizzazione, può dare un grande contributo alla causa. I pneumatici cambieranno proporzionalmente all'evoluzione della guida autonoma? È molto probabile. E questo perché la guida autonoma porterà sicuramente ad una certa tipologia di prestazioni, a caratteristiche specifiche. Un primo passo, intanto, è già l'elettrico. È un primo abilitatore che ormai sta diventando molto pervasivo. Noi siamo tra i più esposti nel mondo dell'elettrico, avendo quasi il doppio delle omologazioni dei nostri competitor. Significa che siamo riconosciuti dalle case auto. Lavorando a stretto contatto con le case auto otteniamo una visione immediata anche dei trend. Siamo i più esposti al primo equipaggiamento dell'alto di gamma. Dove, cioè, nascono i macro trend, dove la sfida tecnologica è più elevata. E dove c'è più possibilità di essere i primi nel mondo dell'innovazione".
Come affrontano un fallimento Pirelli e Misani?
"Non sempre si azzecca tutto. Anche a me è successo di avere degli intoppi. Noi affrontiamo momenti del genere così: non colpevolizzando, analizzando nel dettaglio cosa è accaduto e traendo da ogni episodio apposite Lesson Learned. Le racconto un episodio: una volta fummo costretti a ritardare di sei mesi una linea di prodotto a causa di un problema. Io e il team abbiamo analizzato insieme tutti i passi fatti, le cose giuste e meno giuste, e fatto il punto su quanto scoperto, in modo tale da non ripetere più quegli errori. Perché vede, anche dagli errori si impara. Chi ha avuto un fallimento è come se si fosse vaccinato al fallimento stesso. Quella persona, però, maturerà gli anticorpi solo se avrà analizzato l'errore commesso. Se lo ha rimosso e basta, allora non avrà imparato niente".
Lei ha parlato di elettrico. Con la fine del 2022, Pirelli ha superato le 300 omologazioni Elect. Un numero che qualifica Pirelli come il produttore di pneumatici con la quota maggiore di omologazioni per auto elettriche e ibride plug-in. L'avvento dell'elettrificazione dei veicoli ha agevolato il processo di cambiamento dei pneumatici oppure ha creato maggiori difficoltà rispetto alle sfide del passato?
"Ha alzato l'asticella e questo aiuta. Quando si è in un campo con tanti concorrenti la cosa fondamentale è giocare in Champions League. L'asticella più alta ha fatto sì che per entrare in Champions servono competenze apposite al fine di affrontare il mondo dell'elettrico. Il risultato è che ci sono meno competitor ma molto più aggressivi. Possiamo dire che l'elettrico è una barriera d'ingresso e chi non è in grado di superarla resta fuori. Nello specifico, l'elettrico pone sfide importanti. Intanto l'elettrico è più pesante, e quindi dobbiamo fare uno pneumatico che regga un carico maggiore. Attenzione però: dobbiamo fare sì che ciò accada in maniera efficiente. Non basta semplicemente irrobustire lo pneumatico, perché così facendo perdiamo nella sua efficienza che si traduce in resistenza arrotolamento. Questa, in un motore a combustione interna, determina le emissioni di CO2; in una vettura elettrica determina un aiuto o uno svantaggio nella durata della batteria, che sappiamo essere uno dei problemi principali dell'elettrico. Far un pneumatico così è quindi un fattore competitivo. Ci sono però altri due fattori da considerare. Quali sono? Il secondo riguarda la coppia. La prima cosa che sentiamo quando guidiamo l'elettrico è l'accelerazione, che è pazzesca. Questo vuol dire che lo pneumatico è sollecitato, ma dobbiamo far sì che ciò avvenga senza un peggioramento della resa chilometrica. Aggiungiamo il terzo punto: il comfort legato a silenziosità. Bisogna fare uno pneumatico silenzioso. Non solo per il comfort interno ma anche in ottica di traffico cittadino e sostenibilità. Ricapitolando, produrre uno pneumatico a basso rumore, che mantenga la resa chilometrica, che trasmetta le coppie, sopporti il carico, aiuti nella resistenza di arrtotomalemtno per mantenere - o aumentare – la durata batteria, tutto questo rappresenta una nuova sfida. Richiede tecnologie più avanzate e mette una nuova barriera d'ingresso rispetto al passato".
Anche in questo le case automobilistiche vi offrono supporto?
"Sì. Effettuiamo insieme studi a livello di microdettaglio. Con alcune case automobilistiche stiamo analizzando l'interazione aerodinamica dello pneumatico con la vettura e il cerchio. Così facendo si affronta il tema della durata della batteria, che è legato a come vengono disegnate le singole vetture e i rispettivi cerchi. Chi non è nel primo equipaggiamento fa più fatica a dominare questo campo".
Qual è il rapporto tra Pirelli e Formula 1?
"Forse non ci crederà ma la Formula 1 ci avvicina al mondo di tutti i giorni. Ci viene spesso chiesto qual è la ricaduta o perché siamo in Formula 1. È chiaro che, trattandosi di una sfida tecnologica più elevata, fa nascere i metodi più avanzati di progettazione. Penso alla simulazione e virtualizzazione: il driving simulator nasce proprio in F1. In quel mondo la velocità e il know how sono la vera innovazione. La F1, dunque, non apre le porte solo all'applicazione di nuovi materiali ma anche a nuovi metodi di sviluppo. Si potrebbe pensare: perché parlare di prestazione se Pirelli è mono fornitore di F1? Innanzitutto la prestazione è altissima anche solo per le velocità delle vetture e per i carichi di downforce che agiscono sullo pneumatico. È un livello di stress micidiale che però aiuta a sviluppare anche gli pneumatici stradali. Ma non c'è solo quello. Dietro alla nostra presenza in F1 c'è un enorme sforzo logistico e industriale. E poi c'è l'uniformità del prodotto. È importantissimo far sì che tutti i team ottengano le migliori performance con le loro vetture. Da questo punto di vista, creare uno pneumatico valido per tutti i team è la sfida che potrebbe idealmente portare a creare uno pneumatico adattabile a tutte le vetture presenti sul mercato".
La F1 vi ha portato un upgrade di immagine?
Assolutamente sì. Ci sono aree del mondo dove la F1 ha preso piede. Penso alla Cina e a tutta l'Asia. Oggi abbiamo quasi più gran premi in quella regione che non in Europa. Allo stesso tempo anche gli Stati Uniti stanno iniziando ad apprezzare questo sport.
C'è un potenziale upside che è coerente con la nostra immagine. E c'è coerenza in quel che facciamo, in termini di esposizione, anche al di fuori dall'automotive. L'esperienza di Luna Rossa, ad esempio, si è avvicinata al nostro dna".
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