Per chi ha il compito di descrivere il rapporto tra auto e grande schermo difficile non parlare prima o poi di "Fast and Furious", la franchigia hollywoodiana che dal lontano 2001 hanno cambiato per sempre il rapporto del mondo mainstream con ambiti di nicchia come il tuning, il drifting e la passione tutta americana di rendere le proprie auto assolutamente uniche. I puristi del cinema d’essai possono storcere la bocca quanto vogliono ma, almeno a giudicare dai risultati al botteghino, il mondo non si è ancora stancato delle rocambolesche evoluzioni della "famiglia" guidata da Vin Diesel. A pochi mesi dall’uscita del decimo capitolo di questa franchigia, si può dire che, in fondo, non abbia molto da dire, che le trame stiano diventando sempre più cervellotiche ma l’impatto di questi blockbuster tutta azione e spettacolo sulla società è stato sicuramente enorme.
Lascio volentieri agli esperti di cinema valutare se questi filmoni tutti inseguimenti ed incidenti spettacolari abbiano contribuito o meno alla settima arte. Una cosa però è certa: il mondo degli appassionati di auto li adora, tanto da rendere alcune delle vetture protagoniste dei vari film famose anche dove in giro se ne vedono davvero poche. Per prepararvi psicologicamente alla nuova orgia di battute facili, inseguimenti ad alta velocità e macchine dai colori improbabili, ecco qui la nostra opinabilissima lista delle cinque vetture che hanno approfittato del traino della fortunata franchigia per entrare nei sogni degli appassionati di tutto il mondo.
La Skyline di Brian
Sebbene la slanciata coupè argento e blu non sia stata la prima Skyline ad apparire nella saga cinematografica, la R34 guidata da Brian O’Connor è diventata una delle più famose ad uscire da questa orgia di velocità, incidenti e inseguimenti spericolati. Apparsa nella sequenza iniziale del secondo capitolo della serie, non dura nemmeno dieci minuti ma ne combina davvero di tutti i colori, tanto da guadagnarsi di diritto un posto nel cuore degli appassionati di tutto il mondo. Non è dato sapere se la sua presenza sia frutto di un fortunato product placement della casa di Yokohama ma è innegabile che l’impatto di questa massiccia auto sportiva dall’inconfondibile livrea sull’immaginario collettivo sia stato enorme. Eppure questa straordinaria vettura, per gran parte della sua lunghissima carriera, è stata del tutto ignorata al di fuori del Giappone. La prima Skyline, infatti, venne presentata nel lontano 1957 e non assomigliava nemmeno lontanamente a quella che oltreoceano si è guadagnata il soprannome di “Godzilla”.
La prima auto a portare il nome Skyline non era nemmeno una Nissan ma una Prince, una dei marchi che, qualche anno dopo, avrebbero dato vita alla corporazione giapponese. Non era affatto un auto sportiva ma una copia in scala ridotta delle berline americane che ben pochi nel paese del Sol Levante potevano permettersi. L’evoluzione di questa storica vettura e di come attraverso ben tredici generazioni si sia arrivati al giorno d’oggi è affascinante ma meriterebbe un articolo a parte, quanto è complicata. La macchina guidata dal personaggio interpretato da Paul Walker è una delle più iconiche, una decima generazione, prodotta dal 1999 al 2002 e conosciuta dai più come la Skyline R34. Come da tradizione Nissan, la versione più estrema, dedicata agli appassionati delle alte prestazioni, poté fregiarsi del glorioso marchio GT-R, diventando una delle preferite sia per il drifting che per i fissati con le corse su strada. Anche qui si potrebbero scrivere libri sul motore RB26DETT, sulle versioni speciali, dalla M-Spec alla famosa Nür, pensata per battere il record sulla massacrante Nordschleife, ma non abbiamo abbastanza spazio.
Una cosa è certa: poche auto di Fast & Furious hanno beneficiato di più dalla presenza sul grande schermo. Le Skyline, sconosciute sia in Europa che in America, hanno ora quotazioni quasi ridicole e un mercato fiorente di pezzi after market per elaborarle e spingerle ben oltre i mille cavalli. Se avete una supercar e ne vedete una per strada, state attenti. Dio solo sa cosa abbiano fatto a quel motore. Senza Gran Turismo e Fast & Furious, questa straordinaria eccellenza giapponese sarebbe rimasta una curiosità invece di una delle vetture sportive più ricercate al mondo.
La Charger di Dom
Il fatto stesso che una delle auto più famose di una serie di film diventata famosa per aver reso popolari alcune delle vetture più esotiche e meno conosciute al mondo sia una delle muscle cars più diffuse oltreoceano può dire molto di come sia necessario massaggiare l’ego dell’americano medio per battere i record al botteghino. L’auto collegata a triplo filo con Dominic Toretto, il personaggio interpretato in tutti i film da Vin Diesel, è infatti un dinosauro, un auto dell’epoca d’oro di Motor City, quando Detroit sognava ancora di dominare il mondo con i propri motori mastodontici e le auto sportive a buon prezzo. A dire il vero, dell’originale, la Dodge Charger del 1970, non è che rimanga molto a parte l’iconica carrozzeria. Dom ha modificato praticamente tutto, dalle sospensioni ai cerchioni fino allo stesso motore, pompato all’inverosimile tanto da costringerlo a tagliare il cofano per trovargli spazio. La vera protagonista del film del 2001, l’unica macchina “normale” nel mare di esotiche auto importate poco familiari per l’abitante dell’America profonda, ha forse approfittato per il fatto di avere un colore sensato, invece delle tinte fluorescenti delle altre macchine, che sembrasse più concreta, cattiva, terra terra. Comunque sia andata, questa macchinona americana è diventata una stella, tanto da convincere la stessa casa americana a resuscitare lo storico marchio, proponendo una versione riveduta e corretta per il 21° secolo.
A parte il fatto che per le riprese del film siano state usate e praticamente rottamate quattro vetture diverse, tre delle quali con l’iconico 440 big block, sulla storia della Charger si sono scritti libri su libri, ma è evidente come l’esposizione mediatica nel film sia riuscita a riportarla nel cuore di tanti appassionati della via americana alle auto sportive. A parte le ridicole elaborazioni, nessuno è convinto davvero che questa pesante e poco raffinata auto americana poteva davvero tenere il passo delle ben più moderne stelle giapponesi ed europee ma agli spettatori non importa granché. Gli americani continueranno a credere che le loro siano le auto migliori al mondo, nonostante tutto il resto del pianeta gli urli il contrario. Agli appassionati delle muscle cars sarà piaciuto vederla stracciare la Toyota Supra di Brian. In fondo, anche loro, sanno bene che se se la trovassero accanto ad un semaforo, avrebbero zero possibilità di vincere ma sognare non costa niente.
La RX-7 e il motore rotativo
Solitamente le varie vetture nella serie vengono usate una sola volta, con pochissime eccezioni, probabilmente per incassare più soldi dai costruttori o per variare il parco di macchine per esigenze sceniche. Una delle poche eccezioni è una delle vetture sportive più particolari ad essere mai uscite dalle penne dei progettisti delle case automobilistiche nipponiche, la Mazda RX-7. La sua presenza in un film dedicato al rapporto tra le quattro ruote e la passione per la velocità non dovrebbe sorprendere nessuno: poche altre auto hanno altrettante legioni di appassionati come la strana supercar della casa di Hiroshima. Come la Skyline, anche la RX-7 ha alle spalle una lunga carriera ed è rimasta in vendita dal 1978 al 2002, vendendo oltre 810000 vetture, un dato incredibile per quella che, in fondo, rimane una vettura sportiva ad alte prestazioni. Non abbiamo tempo di ripercorrere l’incredibile storia della più famosa Mazda a portare le lettere RX ma il suo posto in questa fortunata franchigia è del tutto giustificato. Impossibile parlare di questa slanciata coupè senza citare almeno una volta il suo pazzesco motore, uno dei pochissimi motori rotativi a ciclo Wankel ad essere prodotti in numeri importanti nella storia dell’auto. Quella che Dom sceglie per la sua prima corsa è forse una delle RX-7 più fortunate, la sesta serie, conosciuta con le lettere FD, che si è guadagnata una reputazione non solo per la potenza ma per la sua eccellente tenuta di strada.
Visto che la FC si era un po’ troppo imborghesita, la Mazda tornò alle origini, riducendo decisamente il peso ed affidandosi ad un designer di grande talento, Yoichi Sato. Quando nel 1992 fu presentata al pubblico, si conquistò a forza le copertine dei periodici specializzati. Bassa, aerodinamica, baricentro basso, sospensioni evolute, un motore ancora più potente e un peso sotto ai 1300 chili, la nuova RX-7 era semplicemente una delle auto sportive più performanti al mondo. Si sono scritti libri sullo straordinario 13B-REW, il birotore da appena 1300 cc che aveva due turbocompressori sequenziali, uno per i bassi regimi e l’altro che entrava a 4000 giri, per una potenza massima ben oltre i 270 cavalli di serie. Quando poi ci mettevano mano i vari tuners, le RX-7 potevano davvero mettersi dietro tutto e tutti. La fregatura? Il motore era estremamente fragile, tanto da rischiare di lasciarti per strada se esageravi con le elaborazioni. Nonostante tutto, molti rimpiangono ancora questa incredibile supersportiva dal prezzo ragionevole, tanto da convincere la Mazda a tentare più volte di riportarla in vita, con risultati dimenticabili. Il posto d’onore nel cuore dei malati della velocità se l’era già conquistato da un pezzo.
Silvia, la Mustang giapponese
Evidentemente gli sceneggiatori ed esperti di auto impiegati dalla produzione della saga motoristica hanno una passione per le Nissan. Dopo la Skyline, a guadagnarsi uno spazio in due dei dieci film della serie è la sorellina, quella che si è guadagnata il soprannome di "Mustang giapponese", la Silvia. Quella che ha colto l’attenzione degli appassionati è la seconda sportiva ad apparire, il capolavoro del preparatore nipponico Han in "Tokyo Drift", conosciuta con l’impegnativo soprannome di "Monna Lisa". Non è che faccia una bella fine, visto che è la seconda vettura distrutta da Lucas Black nei primi 30 minuti del film ma è bastato per conquistarsi un posto d’onore nel pantheon delle auto iconiche della franchigia.
Come succede spesso in Giappone, dove i costruttori sono estremamente affezionati ai nomi delle auto, la Silvia di Fast and Furious è l’ultima di una lunga serie di auto a portare questo strano nome, in giro fin dal lontano 1964, quando portava il marchio Datsun. Sempre a caccia di un auto sportiva leggera e dal prezzo accessibile, la S10 fu da sempre considerata la sorella minore della Skyline, abbastanza ragionevole da essere esportata in tutto il mondo. Da noi era conosciuta come 200SX ma non ebbe lo stesso successo che ricevette in patria e in America. A parte la S14 che Letty guida nel primo film, in realtà una 240SX del 1997 mascherata da Silvia, la macchina che si è guadagnata un posto sui muri dei maniaci di motori di mezzo mondo è la S15, considerata da molti la migliore macchina da drifting della storia.
Buona parte del suo fascino sta forse nel fatto che non sia mai stata esportata fuori dal Giappone, rendendola allo stesso tempo rara e molto esotica. Una curiosità? È assolutamente vietato importarla negli Stati Uniti. Come mai? La Nissan, visto il ristretto mercato, non si disturbò nemmeno ad omologarla, spingendo la severissima autorità statunitense sulla sicurezza stradale a bandirla per 25 anni. Nel 2024 il divieto scadrà, ma forse ancora prima l’ultima evoluzione della Silvia, la S16, arriverà nei concessionari di mezzo mondo. Secondo la rivista specializzata giapponese Best Car, la Nissan avrebbe deciso di realizzare una nuova sportiva che porta la famosa S adattandola ai nostri tempi: full electric con tanto di pesantissimo pacco di batterie. Detta così sembra quasi un’eresia ma vale la pena dare fiducia alla casa di Yokohama. Non lo fanno spesso ma quando si mettono in testa di fare una sportiva, difficilmente sbagliano.
La rarissima Buick GNX
La vettura più rara ed esotica ad aver preso parte nella saga di Fast and Furious è stranamente ancora un’auto americana ma è lontanissima parente della Charger di Dom. Questa vettura del 1987 è stata prodotta in un numero limitatissimo di esemplari con uno scopo ben preciso in mente: far entrare la Buick nel libro dei record e dare un minimo di credibilità alle versioni sportive delle noiose berline prodotte dal marchio a fine anni ‘80. Uno dei marchi più antichi del continente nordamericano, indipendente solo dal 1899 al 1908, quando fu comprata dalla General Motors, non è mai riuscito ad avere una forte identità. Una berlina media, moderatamente comoda, dal prezzo ragionevole? Una Buick va benissimo. Un’auto sportiva? Decisamente no. Dopo aver provato a vendere una versione sportiva della berlina Grand National nel 1986, a Detroit ci si rese conto di dover fare qualcosa di più serio per guadagnarsi il rispetto dei passionisti delle auto veloci. L’obiettivo della Grand National eXperimental era semplice: “creare un numero limitato di Grand National che si guadagnino un posto nella storia delle auto ad alte prestazioni, un auto che i collezionisti si litigheranno e che i giornalisti specializzati non potranno mai dimenticare”. Belle parole ma decisamente difficili da tradurre in pratica.
Con l’aiuto di un preparatore di nicchia, la Buick decise di metter mano a tutti gli aspetti della pesante Grand National per ottenere prestazioni da urlo. Il motore di serie fu pesantemente modificato, dotato di un turbo Garrett più leggero, intercooler maggiorato, una trasmissione su misura e uno scarico speciale. Il risultato delle modifiche? Quasi 300 cavalli e una coppia da urlo. Con tanta potenza anche il telaio fu irrigidito, le sospensioni erano quasi irriconoscibili, come i cerchioni in alluminio, pneumatici maggiorati e chi più ne ha più ne metta. Gli interni erano su misura ma tutto nella GNX era pensato per dare l’impressione di avere di fronte un auto rara, inclusa una placchetta col numero di serie sul cruscotto. Offerta solo nera, la "Darth Vader" dietro all’immagine aveva parecchia sostanza, tanto da lasciare di stucco gli esperti. La GNX, offerta a 29900 dollari, faceva da 0 a 100 in soli 4,6 secondi, prestazioni superiori a quelle della ben più costosa Ferrari F40.
Quello che nessuno a Detroit diceva è che bastava una curva per far scomparire la berlinetta di Maranello ma l’entusiasmo in America fu incredibile. Le 500 GNX distribuite ai migliori concessionari americani furono vendute in poche ore, tanto da costringere a produrne altre 47 da fornire al meglio del meglio tra i concessionari. Nonostante le migliaia di richieste, la Buick si rifiutò di produrne una di più, lasciando crescere il mito di questo razzo a quattro ruote. L’ultima muscle car tradizionale è rimasta popolarissima tra gli appassionati americani, tanto da stabilire l’anno scorso il record per un’asta su eBay: una delle 547 GNX è passata di mano per una cifra assurda, 249999 dollari. Come prevedibile, nessuna delle auto usate in Fast and Furious 4 era vera: si trattava di semplici Grand National modificate per farle assomigliare a "Darth Vader".
Questo è il nostro elenco molto personale delle auto che hanno fatto la storia di questa franchigia cinematografica da record. Di auto speciali se ne sono viste tantissime in questi 22 anni e nessuno sa cosa si inventeranno per il prossimo capitolo della saga. Una cosa è certa: saranno auto speciali, eccessive, quasi ridicole ma ci faranno sognare per qualche minuto.
In fondo al grande schermo abbiamo sempre chiesto proprio questo: farci dimenticare per un’ora e mezza i nostri problemi. Fast and Furious non piacerà alla gente che piace ma difficile vedere uno spettatore che esca dalla sala senza un bel sorriso. Non male per uno stupido filmone americano.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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