L'Autobianchi Giardiniera di Sordi in "Un borghese piccolo piccolo"

L'auto incarna l'italiano medio della metà degli anni Settanta, quello avvinto da un'aurea di rassicurante mediocrità, ma capace di gesti inconsulti quando la rabbia per quella vita diventa ingestibile

L'Autobianchi Giardiniera di Sordi in "Un borghese piccolo piccolo"
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Lui a quel blocco non può proprio fermarsi. Deve andare al ministero, con buona pace dei lavori che intasano la strada. A Roma si sta costruendo la tangenziale est, pensata proprio per raggiungere più facilmente il centro. Ma Giovanni Vivaldi - Alberto Sordi in "Un borghese piccolo piccolo", amara commedia di Mario Monicelli uscita nel 1976 - ha fretta e se ne infischia dei lavori. Quindi dapprima si inalbera, strilla e poi sgasa forzando la segnaletica a bordo della sua Autobianchi Giardiniera. Poi ancora di corsa, a sfidare l'ingorgo davanti al posto di lavoro per ricavarsi un parcheggio.

Quell'auto è il destriero meccanico del folle uomo medio contemporaneo, così come viene cristallizzato dal film. Quello che si accontenta di sguazzare in una penalizzante mediocrità per tutto il tempo, salvo poi sbroccare quando le cose si mettono al peggio. Nella pellicola, Sordi, prossimo alla pensione, fa di tutto affinché il figlio possa succedergli nel mestiere, trovando un posto da impiegato al ministero. Ma di candidati ne selezionano soltanto uno ogni cinquanta, così il compassato Vivaldi è costretto ad abdicare ai suoi valori cristiani, giocandosi il tutto per tutto per mettere in cssaforte il futuro della prole. Al punto da arrivare ad umiliarsi davanti ai suoi superiori, iscrivendosi alla massoneria, pur di scucire un favore.

Autobianchi Giardiniera
L'Autobianchi Giardiniera

L'Autobianchi Giardiniera lo trasporta silenziosa attraverso questa follia urbana. Era uscita nel 1960, presentando pochissime differenza rispetto alla versione D della 500 Berlina di Fiat. Al punto che, per un pezzo, aveva continuato a portare anche il marchio della casa torinese, di cui assemblava una parte della produzione. Tre anni dopo il lancio assunse definitivamente il brand Autobianchi. Essendo macchina buona per la classe media, presentava linee compite. Specchietto retrovisore esterno, griglie per l'aria, apertura "a vento" delle portiere, vetri posteriori reclinabili a compasso.

Inizialmente venne prodotta insieme ad una versione più blasonata, la Bianchina Panoramica, e ad una furgonata, più utile per gli artigiani. La sua innegabile versatilità la rendeva ideale per compiere viaggi in famiglia, grazie all'ampio abitacolo e alle prestazioni di un propulsore da 17,5 cv, che consentiva alla macchina di raggiungere la velocità massima di 95 km/h. Caratteristiche che mantengono viva la produzione fino al 1977. Successivamente, sebbene siano allo studio altri prototipi, Fiat deciderà altrimenti: progetto archiviato del tutto. La sua eredità la raccoglierà la panda.

Ma l'Autobianchi Giardiniera fa ancora in tempo a ritagliarsi un ruolo da protagonista al cinema, restando così inscalfibilmente impressa nella memoria collettiva.

Di Sordi è co-protagonista: dal suo bagagliaio viene preso il cric con cui Albertone tramortisce l'assassino di suo figlio, per poi legarlo e torturarlo. Fine dei sogni, delle risate e della vita dolce. Monicelli ritrae un paese perso e disilluso. La Giardiniera, sullo sfondo, sospira.

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