Era arrivata lentamente, sospinta con sicumera da un camorrista che non pensava mai di incontrare resistenza. Invece quel gruppo di disadattati in cerca di una qualche redenzione aveva respinto con piglio quel tizio di nome Vito, tirapiedi di una famiglia mafiosa che esigeva il pizzo da quella nuova attività, un casale rimesso a nuovo per farne un agriturismo, in Basilicata.
La macchina era un'Alfa Romeo Giulia 1300 di una lucente scala del blu. Il suo proprietario era stato steso da un destro di uno dei quattro uomini impegnati nella nuova avventura imprenditoriale, Sergio. Accanto a lui c'erano, impietriti, Diego, Fausto e Claudio. Una combriccola scalcagnata, quella allestita da Edoardo Leo nel suo film del 2015. Un venditore di auto torinese che, spinto dalla morte del padre, decide di mollare tutto e ricominciare. Un televenditore romano di estrema destra inguaiato fino al collo con i debiti. Un altro romanaccio che ha fatto fallire l'alimentari di famiglia e che è prossimo al divorzio.
Si tratta evidentemente di una piccola comunità di reietti che non ci sta ad incassare altri schiaffi in faccia. Nemmeno se chi prova ad assestarteli è la Camorra. A loro si uniranno Elisa, una giovane donna incinta chiamata per aiutare con le pulizie, ed Abu, un bracciante ghanese. La richiesta di pizzo viene dunque respinta e il mafioso rinchiuso nello scantinato dell'agriturismo. Ma la Giulia che luccica là fuori è una prova troppo evidente del misfatto. Così i nostri non trovano migliore soluzione che scavare una buca e seppellirla. Trascurabile particolare: le chiavi vengono lasciate inserite per dimenticanza e il quadro si accende a scatti per un contatto, facendo partire la radio. Così la musica si espande dal sottosuolo, senza che nessuno capisca come.
Seguiranno altri mafiosi, insospettiti dalla scomparsa di Vito. A tutti sarà riservato lo stesso trattamento, fino a quando non riusciranno a scappare in modo rocambolesco. Costringendo a loro volta i nostri a svignarsela, per sfuggire all'ira della famiglia, a bordo della Giulia dissotterrata. Missione tutt'altro che impossibile grazie alle prestazioni della vettura che, all'epoca in cui venne emessa sul mercato - era il 1964 - si presentava come la 1300 più veloce di tutto il mondo, grazie ad un motore che le consentiva di raggiungere, lanciata, i 155 km/h.
Il carburatore era doppio, evoluzione di quello montato sulla Giulietta TI. Cambio a quattro marce, due soli fari frontali e interni asciutti, ridotti all'essenziale. Nella prima versione mancavanopure la luce per la retromarcia e il servofreno, che verranno introdotti nelle successive.
La coda tronca e le incavature laterali alla base della linea di cintura, unite al muso basso e sfuggente, le donavano un'aerodinamica invidiabile per il tempo, tanto che le reclame dell'epoca sollecitavano così i palati degli acquirenti potenziali: "La Giulia, l'auto disegnata dal vento". Una storia che preme per essere continuata a raccontare, come una musica che arriva dal sottosuolo.
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