Avvenire dedichi prediche alla famiglia, non ai pettegolezzi

Non sarà che a forza di riscaldare le ferite inferte a una sobrietà perduta che sembra la Titina, il quotidiano dei vescovi italiani finirà a rimorchio di Repubblica e Stampa, a cercare disperatamente sotto le ceneri il fuoco di una polemica fasulla e anche un po' infame che è inesorabilmente tramontata? Sia detto senza alcuna prepotenza, ma di Famiglia Cristiana già ce n'è una, e basta, visto il pessimo servizio che fornisce ai cattolici italiani. Vederla distribuita nelle parrocchie è una pena. Che anche Avvenire la butti sull'anti berlusconismo come pratica ecumenica e rassicurazione alle ansie della sua base, che rischi di finire a citare gli articoli dello Zimbabwe Herald sarebbe veramente troppo, mi creda gentile direttore Dino Boffo. A meno che non sia un caso che per la terza volta in due settimane il quotidiano della Cei senta l'irrefrenabile esigenza di ribadire il concetto.
«La gente ha capito il disagio, la mortificazione, la sofferenza che una tracotante messa in mora di uno stile sobrio» ha causato alla Chiesa cattolica, scrive infatti il direttore rispondendo a una nuova lettera di un sacerdote che dubita e si dispera all'idea che i pronunciamenti ecclesiastici sulle «vicende morali» del presidente del Consiglio «non siano stati sufficientemente netti». Si chiama don Matteo Panzeri, sostiene che da parte dei vescovi ci sono state «mille prudenze» e che i messaggi della Chiesa «appaiono segnali assai debolucci se raffrontati alla conclamata sfacciataggine con cui ciò che dovrebbe essere messo in discussione viene invece sbandierato». Chissà, mi chiedo, quale scomunica, e in nome di che cosa, avrebbe voluto don Panzeri per sentirsi pago. Di dottrina sociale e di parroci sfegatati la Chiesa forse muore, ma di fatto continua a vivere.

«Nessuno dei potenziali interlocutori dovrebbe trovarsi a pensare che parliamo o taciamo per “interesse” personale, per qualche esplicita o inconfessabile partigianeria», risponde Dino Boffo, precisando, e non è la prima volta, che la domanda che conta in queste circostanze è se «la gente è riuscita a individuare le riserve della Chiesa», insomma se si sono fatti capire. «Ebbene, la risposta che a me sembra di poter dare è che la gente ha capito il disagio, la mortificazione, la sofferenza che una tracotante messa in mora di uno stile sobrio ci ha causato. I più attenti hanno compreso anche i messaggi specifici lanciati fino a oggi a più riprese». Non si può sostenere perciò che «quelli degli esponenti della Chiesa italiana siano stati interventi casuali o accenni fugaci impastati dentro a testi di tutt'altro indirizzo. Ciò che si è detto lo si voleva dire. Esattamente in quei termini».

Più che giusto, sulle questioni etiche la Chiesa può e deve intervenire, per la verità lo fa senza remore e in continuazione, anche a costo di sfidare alcune già radicate anche se nuove opinioni e modi di pensare di tanti cattolici italiani e no. Tuttavia anche la Chiesa, e la sua stampa, hanno il dovere di distinguere fra le chiacchiere, il gossip, le foto rubate in abitazioni private, le calunnie, l'uso improprio di interrogatori, hanno il dovere di distinguere fra chi fa il giornalista e di notizie da verificare va a caccia, e chi le notizie le va a costruire, fabbricare, insinuare, magari accompagnate da qualche bel bigliettone. La Chiesa, e la sua stampa, dovrebbero raccontare le azioni di un governo, descrivere le iniziative che contribuiscono a rafforzare l'istituto della famiglia, a proteggerne i valori cristiani, a mantenere intatte le nostre radici di Paese cristiano.

In realtà, sempre con l'eccezione di Famiglia Cristiana, Dio ci scampi, Avvenire e altre importanti pubblicazioni questo lavoro lo fanno, e allora non si capisce di che cosa poi debbano vergognarsi, che cosa faccia velo tanto da indurre a giustificarsi dell'aver compreso che cosa è serio, ovvero la battaglia della politica, e che cosa è fasullo, ovvero la battaglia della calunnia. Per intenderci meglio, gentile dottor Boffo, che cosa sia più sobrio e rispettoso degli italiani e della volontà espressa e reiterata con libero voto.

Le possibilità di Ferragosto sono due, come un gioco serio sotto l'ombrellone. Si può scegliere il moralismo de La Stampa e del suo corsivista, Massimo Gramellini, per esercitarsi a contare quale percentuale di italiani voglia trascorrere la festività a Villa Certosa, pare che sia il settanta per cento, e abbracciare entusiasticamente e un po' idiotamente l'altro trenta, quelli che stanno bene a casa loro, scambiandoli per la parte sana del Paese.

Non è un bel vedere. Oppure si può leggere l'inchiesta di un giornale serio, e cattolico, come lo spagnolo El Mundo, che racconta la pochezza e la malafede dell'attacco senza prove portato al presidente del Consiglio italiano. Veda lei.

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