Le avventure spaziali dei Jetson, l'ultima famiglia di ottimisti

I "Pronipoti" arrivano in Italia negli anni Sessanta con la tv ancora in bianco e nero. È il cartone animato che racconta come sarebbe bello vivere in una "smart city"

Le avventure spaziali dei Jetson, l'ultima famiglia di ottimisti
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Non esiste più il futuro di una volta. Quello dei Jetson, la famiglia protagonista dei Pronipoti, la sit-com a cartoni inventata da Hanna e Barbera che ha regalato alla cultura pop dei boomers personaggi come Braccobaldo (siamo tutti quiiiii!), l'Orso Yoghi e Penelope Pitsop. I Jetson erano la versione futuristica degli Antenati. Entrambe le serie mettevano in scene le allegre vicissitudini della famiglia media americana degli Anni della Spensieratezza ambientandole in due contesti opposti: da un lato l'età della pietra, dall'altro il futuro. Ma era un futuro pacioccone, ottimista, rassicurante. Nulla di distopico. Un antidoto preventivo a tanta fantascienza angosciante che sarebbe seguita. Di Asimov, di Bradbury, di Philip Dick c'era pochissimo, anzi nulla. Più che un'Odissea nello Spazio, un Happy Days nello Spazio.

I Pronipoti fu mandata in onda per la prima volta il 23 settembre 1962 sulla Abc. Lo sbarco sulla Luna sarebbe avvenuto sette anni dopo. Yuri Gagarin si era da poco sgranchito le gambe nel nulla cosmico e gli Americani avevano rosicato non poco. E l'umanità, insomma, stava giusto familiarizzando con l'idea che la prossima frontiera sarebbe stata tra le stelle e non in Terra. Ma nelle vicende dei Jetson (letteralmente i figli del jet) non c'era nessuna aggressività e nessun senso di rivalsa. I Russi non erano nemici, semplicemente non esistevano. La vita dei Jetson era piena di piccoli incidenti e di beghe, di vezzi adolescenziali e di difetti stereotipati. Solo che questa vita normale i protagonisti la trascorrevano spostandosi agilmente su mezzi spaziali su cui pagavano bollo e assicurazione e a svolgere le faccende domestiche provvedevano dei robot non troppo efficienti. E a noi quella domotica ante litteram piaceva un sacco, sentivamo il diritto di immaginare un futuro non troppo lontano in cui anche noi saremmo andati da Lorenteggio a Quarto Oggiaro su una utilitaria volante e qualcuno avrebbe stirato i panni senza doverlo pagare o ringraziare.

In Italia i Pronipoti sbarcarono sul piccolo schermo il 7 novembre 1964, era un sabato pomeriggio. I televisori erano dei cassoni tutt'altro che smart, il colore l'Italia democristiana avrebbe dovuto attendere ancora un decennio abbondante per assaggiarlo, perché i prudentissimi governi dell'epoca erano convinti che avrebbe contribuito a corrompere i costumi di una popolazione che andava protetta. Ma Chicco, Chicca, Didi, Poppy, Asso e Tonia, i nomi che gli adattatori italiani scelsero al posto degli originali George, Jane, Judy, Elroy, Astro e Rosie, evidentemente ritenuti non masticabili da un popolo a digiuno di anglofonia, conquistarono presto i giovanissimi, arredandone i sogni di prospettive mai viste. I Pronipoti era roba forte. E i Jetson (il cognome non fu tradotto) furono ingaggiati anche dalla pubblicità. Comparvero nel Carosello per raccontare agli italiani che si andavano elettrificando le meraviglie degli elettrodomestici Girmi. Naturalmente nella visione che qualcuno definirebbe a posteriore patriarcale della società dell'epoca le diavolerie elettroniche raccontate dai Pronipoti servivano agli uomini per spostarsi più velocemente e lavorare meglio e alle donne per dribblare le faccende domestiche. Non a caso quelli spot, uno strano miscuglio di animazione e realtà, si concludevano con una bambina in carne e ossa che dopo aver visto Jane seduta su una poltrona a leggere (analogicamente, si badi) mentre la robottina Rosie provvedeva alle incombenze, chiedeva al padre: Papà, come sarà bello il futuro con tutte quelle macchine che aiuteranno le donne in casa!.

Ecco, come è stato bello il nostro futuro? Bello ma non bellissimo, siamo sinceri. Ora che siamo più vicini al 2063 raccontato dalla serie che al 1962 in cui fu scritta e mandata in onda (fa impressione a scriverlo ma è la verità aritmetica) dobbiamo dire che i Jetson non hanno mantenuto le loro promesse se non in minima parte. Il futuro che abitiamo non l'abbiamo visto arrivare e non ci ha consegnato navicelle spaziali per evitare il traffico del Raccordo o tapis roulant casalinghi per andare dal salotto in bagno. E le domestiche sono ancora in carne e ossa e pretendono perfino che si paghino loro i contributi. Ok, su qualcosa gli autori William Hanna e Joseph Barbera ci avevano quasi preso, George leggeva il giornale da uno schermo (come forse state facendo voi in questo momento), i cibi venivano preparati in piccoli forni molto somiglianti ai microonde e in qualche episodio compare anche una specie di cellulare. Però nessuno lo usava per vedere un tipo di Singapore storpiare una canzone di Taylor Swift e mandare messaggi di odio a sconosciuti.

Il futuro del passato era una terra rassicurante in cui tutti erano felici e il massimo dei crucci era

abbinare il colore della propria tutina a quello del casco. Il passato del futuro è una terra che ci ha incattivito anni dopo anno. E se il presente è un passato che ce l'ha fatta, speriamo che ce la caviamo anche stavolta.

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