Export da record per il food italiano: i nostri ristoranti superano quelli francesi

I dati diffusi da The European House - Ambrosetti registrano un boom di ristoranti italiani all'estero, dove la nostra cucina è molto più gettonata di quella francese e di quella spagnola

Export da record per il food italiano: i nostri ristoranti superano quelli francesi
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Quando si guarda alle vendite di vino all’estero i cugini d’oltralpe restano ancora lontani, con 12,5 miliardi di euro di export nel 2022 contro gli 8 miliardi dei prodotti italiani. Ma quando si parla di cucina e food, il risultato a favore dei ristoranti italiani è tanto schiacciante da poter dire che non c’è nemmeno partita.

Da Tokyo a New York, da Melbourne a Los Angeles, da Rio de Janeiro a Pechino la ristorazione italiana batte infatti a mani basse quella francese. E la questione dei costi, ammesso che abbia ancora senso parlarne, rappresenta ormai un aspetto marginale, visto che quando si parla di alta cucina l’Italia non ha certo nulla da invidiare al resto del mondo, anche se in questo caso le grandi star italiane, da Massimo Bottura ad Antonino Cannavacciuolo, c'entrano solo marginalmente.

A Tokyo 5 mila ristoranti italiani

D’altra parte i numeri parlano chiaro. Stando alla ricerca sul Made in Italy nel mondo, presentata in occasione del 7° forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage organizzato a Bormio da The European House -Ambrosetti, nel 2023 la metropoli internazionale con la più alta concentrazione di ristoranti italiani è Tokyo: quasi 5mila attività contro le poco più di 2 mila con cucina francese. A New York si sfiora, invece, quota mille, con 938 ristoranti italiani, pari all’11% di tutti quelli presenti nella Grande Mela (appena 232 quelli francesi).

Un trend confermato in tutte le metropoli considerate. Da Melbourne, dove i ristoranti italiani sono 324 (solo 83 quelli francesi) e rappresentano il 9,0% del totale, a Rio De Janeiro (722 contro i 110 francesi) e Buenos Aires (373 contro 81), dove la cucina italiana vale rispettivamente l’8% e il 7% del totale. Ma la cucina italiana è molto popolare anche a Los Angeles (570 contro 104, pari al 5,3% del totale), a Hong Kong (541 contro 286 e 4% del totale) e a Pechino con 253 locali tipici italiani, vale a dire il 2,1% di tutti i ristoranti della capitale cinese, quasi il triplo rispetto a quelli francesi (94).

Food: battute Francia e Spagna

“La fame di Made In Italy e di prodotti italiani è dimostrata anche dalla presenza di locali tipici direttamente sul territorio estero dove l’Italia supera con grande distacco i due principali paesi competitor: Francia e Spagna”, ha commentato Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti. Se il confronto con i ristoranti francesi è già super favorevole, quello con i locali a cucina spagnola rischia addirittura di essere imbarazzante. Un numero per tutti è quello che riguarda Tokyo, dove i ristoranti spagnoli sono un decimo (492) di quelli italiani.

Ciò non toglie che la situazione del mondo food italiano all’estero presenti anche qualche criticità. “Vi sono alcuni elementi che limitano la presenza internazionale dell’alimentare italiano, su tutti la frammentazione di un settore composto per l’85% da piccole imprese con quindi un’inferiore propensione all’investimento”, ha proseguito De Molli. Poi c’è “il fenomeno dell’Italian sounding, l’evocazione di italianità su prodotti agroalimentari non italiani. Un fattore che pone pressione sulla competitività delle esportazioni Made in Italy autentiche” e che produce un danno economico notevole al comparto agroalimentare nazionale.

Secondo Coldiretti, nel 2023 il valore dell’Italian sounding agroalimentare nel mondo ha infatti raggiunto la cifra monstre di 120 miliardi di euro.

Un dato in ulteriore crescita rispetto al passato, stando alla maggiore associazione dell’agricoltura italiana anche a causa della guerra in Ucraina, che frena gli scambi commerciali con sanzioni ed embarghi, favorendo il protezionismo e moltiplicando la diffusione di alimenti taroccati. Per il cibo italiano all’estero, bene, ma non benissimo, quindi.

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