
Dal 6 al 9 aprile a Verona va in scena il Vinitaly, la manifestazione fieristica del vino più importante d’Europa. E non poteva capitare in un momento più delicato, sotto ai riflettori dei dazi introdotti sul mercato americano, il numero uno per gli esportatori italiani di vino. Ma non sono solo i dazi. Gli imprenditori vitivinicoli italiani sono presi ormai di mira da diverse angolazioni. Anche in casa propria. E non sempre a ragion veduta. Certo, i prodotti a base di alcol necessitano un controllo legato alla salute e alle dipendenze in particolare. Ma nello stesso tempo rappresentano anche un’eccellenza alimentare e culturale che in Italia è diventata una grande industria, una filiera con 240mila aziende e 1,3 milioni di occupati. Legata a doppio filo, tra le altre cose, all’altra grande industria del turismo. Spesso questo aspetto viene dimenticato e gli imprenditori del vino sono costretti a superare sempre nuovi ostacoli, come avviene nei giochi della Playstation.
Nonostante la mannaia dei dazi, il Vinitaly 2025 si presenta al completo: per la sua 57esima edizione sono attese 4mila aziende, distribuite nei 18 padiglioni della manifestazione (tra fissi e tendostrutture). "Sono 1.200 i top buyer accreditati e ospitati a Verona - ha detto il direttore generale, Adolfo Rebughini -. Una selezione profilata da 71 Paesi, sei in più rispetto all’anno scorso”. Ed è significativo che tra le delegazioni più numerose dei grandi operatori extra Ue la prima sia proprio quella degli Usa, con 120 cosiddetti “top buyer”, selezionati, invitati e ospitati da Veronafiere e Ice, da Texas, Midwest, California, Florida e New York. Il che ci dà l’idea di un mondo che non intende fermarsi davanti ai dazi: il vino italiano in America è più popolare di quello francese e deve molto del suo successo anche a un rapporto qualità/prezzo molto stimato dal consumatore. Per questo c’è da scommettere che l’inventiva degli imprenditori italiani saprà proporre soluzioni per assorbire il tema dei dazi nel rapporto commerciale con i venditori Usa. Anche in vista del Vinitaly versione Usa, in programma a Chicago il 5 e 6 ottobre 2025. Ma la vivacità delle nostre imprese sarà proiettata anche sui nuovi mercati: Cina in primis e sud-est asiatico, dove Vietnam, Thailandia e Indonesia stanno crescendo nel consumo di vino, tipico delle nuove classi medie.
Quello che conta è proprio questo: la capacità delle imprese italiane di reagire alle avversità. Che, nel caso del vino, non vengono solo dai cattivi americani, ma anche dalle ottusità della nostra Europa, che negli ultimi anni si è distinta molto per lacci, lacciuoli e ideologie, e meno nella difesa degli interessi delle imprese. Si pensi, nel caso del vino, alle misure più stringenti pensate in ambito comunitario sulla tassazione, introduzione di avvertenze sanitarie sulle etichette, limitazione delle vendite transfrontaliere e regolamentazione della pubblicità. Misure da introdurre per la tutela della salute, ma che non trovano sempre un riscontro scientifico condiviso. Insomma, vengono imposte dall’alto, un po’ come è successo con il Green Deal nel settore automotive.
Per questo le imprese del vino hanno oggi bisogno di liberarsi di vincoli burocratici e imposte di tipo ideologico che danneggiano un prodotto che esiste in Europa (almeno nelle sue forme più arcaiche) fin dall’era glaciale. Senza ignorare i rischi per la salute, ovviamente.
Ma ben consapevoli che gli ostacoli non vengono solo dai dazi per l’oltreoceano, bensì anche dal fuoco amico. Speriamo quindi che la mossa azzardata e inutile di Trump serva a svegliare Bruxelles sulle strategie di politica industriale da attuare per rendere tanti prodotti europei – come il vino - più forti e competitivi.
Detto ciò, siamo adulti vaccinati ed ognuno è libero di bere quanto vuole, ma sminuire i danni causati dall'alcol è una pessima operazione, invece vedo un nostro ministro fare parecchia disinformazione a proposito.
Quello che dice che l'abuso di acqua è pericoloso, per intenderci.