Menarini cresce negli Usa: niente debiti con le banche

Lucia Aleotti: «La Borsa? Sarebbe più difficile investire E l'attenzione all'Italia non cala». L'ascesa nell'oncologia

Lucia Aleotti, azionista di controllo e consigliere di Menarini.
Lucia Aleotti, azionista di controllo e consigliere di Menarini.
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L'azienda farmaceutica straniera che più è cresciuta negli Usa in questi ultimi due anni è italiana. Da zero a 300 milioni di ricavi in meno di un anno. Menarini ha ieri diffuso i numeri del bilancio 2023, dai quali spiccano i risultati ottenuti nell'oncologia negli Usa: era l'obiettivo che il gruppo si era posto nel 2019, con l'arrivo del ceo Elcin Barker Ergun e l'acquisizione in nord America, in pieno lockdown, della società Stemline.

Obiettivo raggiunto «senza rinunciare alla filosofia del nostro gruppo», ha detto l'azionista di controllo e consigliere di amministrazione Lucia Aleotti, vale a dire «l'autofinanziamento: da 25 anni l'azienda tiene al suo interno tutti i profitti, senza dare dividendi, e facendo a meno delle banche». E pure della Borsa, «che per noi ha poca attrattività: i soci vogliono le cedole che noi non diamo. E poi diventa anche più difficile investire in ricerca come vogliamo noi».

Una filosofia che nel 2023 ha portato il fatturato a quota 4,375 miliardi, in crescita del 5,3%, e con 300 milioni di ricavi dall'oncologia, «dove fino a pochi anni fa non eravamo presenti», ricorda Aleotti. L'ebitda è stato di 340/350 milioni, contro i 400 del 2022. «Un calo atteso - ha detto Aleotti - visto che il 2023 era fondamentale per l'oncologia negli Usa, dove in soli 8 mesi Menarini è arrivata a coprire tutti i centri attivi nei tumori solidi». L'80% dei ricavi è fatto fuori dall'Italia.

In ogni caso Menarini non ha nessuna intenzione di allentare la presa sull'Italia, «al contrario, nessuna idea di delocalizzazione, gli occupati sono sempre aumentati e negli ultimi 5 anni abbiamo investito oltre 200 milioni». E una misura della dimensione dell'azienda la forniscono anche i volumi, cresciuti del 9,3%, per un totale di 16 miliardi di compresse prodotte, «che rendono l'idea della complessità produttiva per i nostri 18 stabilimenti nel mondo, principalmente in Europa», sottolinea ancora la leader del gruppo fiorentino.

In termini geografici l'Italia resta il primo Paese, ma con lo sviluppo oncologico gli Usa sono balzati al secondo posto, davanti a Spagna (260 milioni) e Polonia (200).

Qualche difficoltà, invece, «dall'economia cinese - ammette Aleotti - che non ha mantenuto le promesse» e dall'impatto di certi cambi, come nel caso Turchia, «dove la svalutazione della Lira ha mangiato il 50% della crescita». Per quest'anno «continueremo a crescere negli Usa, e in oncologia in tutta Europa. Restiamo in Cina ma con prudenza perché non vediamo segnali di esplosione».

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