Le relazioni incestuose

A caldo vale la pena di constatare l'ennesimo paradosso di una relazione, quella tra Mediobanca e Generali, che solo gli ingenui e i pasdaran del partito di Piazzetta Cuccia possono ancora non definire incestuosa

Le relazioni incestuose
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L'affermazione più stravagante tra quelle che ieri Alberto Nagel, ceo di Mediobanca, ha pronunciato davanti ai giornalisti è che «l'Ops su Banca Generali non è un'operazione difensiva». Nella sua narrazione, l'assalto alla controllata delle Generali non avrebbe alcun nesso con l'Ops lanciata da Mps su Mediobanca stessa. Naturalmente nessuno gli ha creduto. E ovviamente nemmeno lui ci crede. Ha fatto quella dichiarazione perché costretto, perché essa rappresenta l'alibi necessario onde evitare di incappare subito nei rigori della cosiddetta passivity rule, che inibisce ogni azione difensiva destinata a modificare il patrimonio di una società quando è sotto scalata. Il che non significa che alla fine Consob, sulla quale da oggi si accendono riflettori doppi, non stabilisca che l'aspetto prevalente dell'operazione è proprio lo scopo difensivo. Del resto, non mancano le argomentazioni per dimostrarlo, che fanno somigliare l'annuncio di ieri più a una bomba fumogena, gettata nel pieno del risiko bancario come arma di distrazione per tentare di rallentare un riassetto che ormai è nelle cose. Ma per appurare questi aspetti avremo tempo.

A caldo vale invece la pena di constatare l'ennesimo paradosso di una relazione, quella tra Mediobanca e Generali, che solo gli ingenui e i pasdaran del partito di Piazzetta Cuccia possono ancora non definire incestuosa, soprattutto dopo nemmeno sette giorni dalla nomina del nuovo cda della compagnia triestina. Ineludibile la domanda: ma può un consiglio di amministrazione nel quale 10 consiglieri su 13 sono stati nominati da Mediobanca assumere decisioni - ad appena 100 ore dalla nomina - su un'operazione progettata da quest'ultima e finalizzata ad acquisire quello che probabilmente è l'asset più prezioso delle Generali? Delle due l'una: o il cda riconosce di essere stato delegittimato e perciò impossibilitato a decidere su un'operazione straordinaria che potrebbe cambiare radicalmente il volto della compagnia, oppure è in pieno conflitto d'interessi avendo condiviso anzitempo il progetto. Per esempio, che cosa c'è dietro il frettoloso rinnovo degli accordi avvenuto alcune settimane fa tra Generali e la controllata? E qui i sospetti si allargano fino ad ipotizzare il concerto.

In un caso o nell'altro non sarebbe più corretto, nell'interesse del mercato, aprire una gara competitiva su Banca Generali? Consentire un'asta trasparente per far emergere il reale valore della società, invece di procedere con un accordo preconfezionato, probabilmente studiato da tempo nelle oscure stanze di Trieste e Milano? Anche qui è evidente, almeno agli occhi di chi scrive, come la trasparenza tanto invocata dalle parti di Piazzetta Cuccia non sia una condizione familiare nel tratto di strada che unisce Trieste e Milano. Non va dimenticato che quattro anni fa un tentativo simile fu condotto di nascosto, sempre con la regia di Mediobanca, allo scopo di far spuntare il progetto come un fungo nella notte fra le carte da sottoporre all'approvazione del cda Generali. Oggi perlomeno - e di questo i soci dovrebbero ringraziare il presidio dei grandi azionisti privati e l'attenzione del governo - tutto avviene alla luce del sole.

Vale inoltre domandarsi se il presidente di Generali, Andrea Sironi, esponente di massimo livello dell'Università Bocconi, non abbia nulla da osservare di fronte alla potenziale cessione di un asset definito «strategico» dallo stesso management. Inoltre, che diranno gli investitori istituzionali acclamati da Mediobanca subito dopo l'assemblea di giovedì scorso per l'appoggio dato alla propria lista del cda? Anche per questo l'operazione prospettata, che prevede per Generali l'acquisto di azioni proprie offerte da Mediobanca, non può che passare dal vaglio dell'assemblea straordinaria di Trieste. Come giudicheranno i fondi internazionali un'operazione che comporta la dismissione di un asset strategico senza che sia evidente un vantaggio concreto per tutti gli azionisti? La Borsa ieri è stata molto chiara, punendo fin dai primi minuti il titolo Generali con un calo netto del 2% (più tardi ridotto all'1% grazie ad acquisti opportunamente orientati per attenuare il flop).

Infine, come spiegare l'affermazione di Nagel, secondo cui Mediobanca sommata a Banca Generali rappresenterebbe quel «leader italiano nel risparmio evocato dalla premier Meloni», dopo che ha appoggiato a spada tratta un'operazione molto discutibile come quella delle nozze con Natixis? Francamente, dinanzi al tentativo di proporre l'operazione come progetto che avvantaggia il

Sistema Italia attraverso la creazione di un «campione domestico del risparmio gestito», viene da pensare che ancora una volta l'interesse nazionale sia tirato per la giacchetta per difendere unicamente interessi personali.

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