Barenboim/2 Rispettiamo un Don Chisciotte

Cosa hanno in comune un concerto di Beethoven, un pianoforte a coda Steinway & Sons e una cittadinanza onoraria? Un grande musicista, Daniel Barenboim. Il che non avrebbe nulla di speciale se il Maestro non fosse israeliano, la cittadinanza conferitagli palestinese e il pianoforte probabilmente l’unico del genere in Palestina.
Non tutti gli israeliani e i palestinesi (specie gli islamici, che nella musica vedono la presenza del diavolo) apprezzeranno il triplice avvenimento. Ma per Barenboim, che si è dedicato al riavvicinamento tra israeliani e palestinesi (ospitando fra l’altro incontri segretissimi nelle sue case in Europa), rappresenta la consacrazione di uno sforzo donchisciottesco della sua decennale opera di pacificazione israelo-palestinese attraverso la musica, tanto nota quanto priva di risultati pratici. L’orchestra «binazionale» da lui creata ha fatto parlare molto del suo ideatore, ammirato per la sua fede nella pace, snobbato (quando non vituperato) per la sua idea di “oliare” con la musica gli ingranaggi arrugginiti del processo di pace in Medio Oriente. Ma questo concerto al Palazzo della Cultura di Ramallah ha un simbolismo più profondo. C’è, anzitutto, l’accettazione da parte sua e la concessione da parte del governo palestinese di una cittadinanza «al nemico». Forse né lui né i dirigenti di Ramallah se ne sono resi conto, ma questo gesto potrebbe un giorno essere portato come precedente per l’accettazione sul suolo palestinese (sinora considerato judenrei, «pulito da ebrei», come nel caso di Gaza) di ben altri israeliani con «doppia cittadinanza». Ve ne sono infatti almeno già 80mila che, se rifiuteranno di lasciare gli insediamenti «al di là del muro», dovranno prima o poi riflettere sul delicato rapporto fra nazionalità e residenza. E lo stesso vale per migliaia di arabi-israeliani che, in un eventuale scambio di territori, potrebbero trovarsi nella situazione di Barenboim, ma nello Stato palestinese.
Un altro elemento meno politico ma non meno simbolico è rappresentato dal prestigioso pianoforte a coda che una signora olandese ha voluto regalare all’orchestra del grande Maestro. Che io sappia, è il solo del genere esistente in Palestina. Un pianoforte Steinway può essere un oggetto molto pericoloso se visto come prova di quello che la società palestinese ha finora perduto lasciandosi trascinare dietro la bandiera della «nazione palestinese al posto di quella israeliana».
In Israele di Steinway ve ne sono molti e in uso quotidiano. Rappresentano il segno di una società che, nonostante il lungo stato di guerra, è diventata ricca e libera di poter fare dei concerti di Beethoven e dell’uso di pianoforti a coda non degli avvenimenti, ma un’abitudine. È un segno non di pace, ma di normalità e di opulenza e che i palestinesi possono vedere senza bisogno di cannocchiali dai tetti delle loro case ma che sinora hanno rifiutato di capire. Il concerto e la cittadinanza data a Barenboim ricorda loro anche questo e, come il Grande Maestro ha giustamente sottolineato, che la musica da sempre è capace di ispirare speranza.

Anche per la pace, specie quando non viene usata come fanno quotidianamente le radio e le tv palestinesi per diffondere marce militari e canzoni che invitano i bambini a odiare gli ebrei e i grandi a immolarsi nell’ammazzarne il maggior numero possibile.

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