«Ma si rende conto? Siamo 50 mila fisioterapisti regolari e almeno 100 mila abusivi. Non si può andare avanti così». E' pronto a dare battaglia Antonio Bortone, appena rieletto presidente dell'Associazione italiana fisioterapisti (Aifi) dai 250 delegati di quasi 8mila iscritti, presenti al primo Congresso nazionale della categoria di Pacengo del Garda (Vr).
Quella che emerge dall'incontro di questi giorni è una pressante richiesta, in controtendenza in un momento in cui si parla tanto di liberalizzazioni e abolizione degli albi professionali.
«Per combattere davvero l'abusivismo - dice Bortone- , che espone migliaia di cittadini ogni anno a gravi rischi, abbiamo bisogno della creazione di un Ordine. Solo così si potrà verificare se chi si presenta come fisioterapista è in possesso della laurea triennale e garantire adeguata formazione e continuo aggiornamento, con l'organizzazione di corsi necessari nel nostro mestiere per conoscere nuove tecniche e nuovi strumenti. Questo passo ce lo impone l'Unione europea, per cui tutte le professioni che operano in ambito sanitario devono essere regolamentate».
La fisioterapia è una professione «ambita» dai furbi, visto che si contano più abusivi che professionisti: il 60 per cento nella libera professione e il resto nelle strutture pubbliche e convenzionate.
L' abusivismo è a volte plateale, a volte più sottile e pericoloso. Ma l'associazione è decisa a smascherarlo, anche informando i cittadini che è meglio tenersi alla larga da chi non richiede una documentazione clinica per fare una valutazione funzionale, ma mostra scarsa serietà procedendo subito alla prestazione. E non rilasciando alla fine alcuna fattura, naturalmente.
«L'abusivismo - dice Bortone- colpisce la professione in modo violento e pericoloso, soprattutto per i cittadini, i pazienti, e quindi per tutto il "sistema salute" del nostro Paese».
Il presidente dell'Aifi chiede al governo e alle forze politiche «la pronta realizzazione di quanto espresso come "buoni propositi", come azioni politiche ineludibili per il completamento del quadro giuridico dello sviluppo di tutte le professioni sanitarie e per porre finalmente l'Italia al passo con il resto dell'Europa».
Già in molti altri Paesi, infatti, questa professione è regolamentata: in Olanda c'è un ordine da 150 anni, un albo in Gran Bretagna e Germania, Francia, Spagna hanno un sistema ordinato.
Da noi, dopo l'introduzione della laurea triennale nel 1999, è stato appena sventato il tentativo di equiparare il diploma in fisioterapia a quello in scienze motorie ma ci sono voluti cinque anni e mezzo per arrivare all'abrogazione dell'articolo in questione.
La motivazione è che si attribuiva lo stesso valore legale a titoli di studio con percorsi formativi radicalmente diversi: il diploma di laurea in fisioterapia prevede un esame finale con valore abilitante alla professione che non c'è per la laurea in scienze motorie. Ma secondo norma abrogata, contestatissima dai fisioterapisti, il diploma di laurea in scienze motorie era equipollente a quello infisioterapia: bastava un attestato di frequenza a idoneo corso su paziente.
Al Congresso di Pacengo, dedicato appunto alla valorizzazione della professionalità,alla lotta contro gli abusivi e alla battaglia per l'istituzione degli ordini per le professioni sanitarie, è arrivato un videomessaggio del sottosegretario alla Salute, Francesca Martini.
«Apprezzo il lavoro dell'Associazione italiana fisioterapisti - ha detto - per l'impegno nelle attività di promozione e tutela della professionalità e per l'istituzione degli Ordini nelle professioni sanitarie. Ribadisco l'impegno anche del ministero della Salute contro il grave fenomeno dell'abusivismo e mi compiaccio per la definitiva abrogazione dell'articolo che equiparava il diploma in scienze motorie a quello in fisioterapia».
Il sottosegretario ha assicurato che il governo è «consapevole dell'importanza della figura del fisioterapista nell'ambito di un team multidisciplinare che metta il paziente al centro del percorso riabilitativo, con la collaborazione del care giver e della famiglia in generale».
E la Martini ha aggiunto di comprendere che «la realtà dei fatti pone gli operatori in condizioni oggi ancora molto difficili, per contesto, organizzazione e progettualità, soprattutto in alcune Regioni».
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