Parigi - Intanto lui è sempre su di un altro pianeta. Ieri Franco Battiato ha presentato il suo nuovo cd Fleurs 2 qui in un hotel di Montmartre e, parlando, pensava già al concerto che poche ore dopo avrebbe tenuto alla Cigale, il café concert dove si esibiva Maurice Chevalier (e ieri sera è arrivato anche Emanuele Filiberto). «L’attenzione del pubblico francese è unica e mi commuove tutte le volte». Ma, tempo di dirlo, e Battiato stava già pensando al prossimo film su Haendel e Scarlatti di cui ha già tutto tranne che i soldi per finanziarlo. Insomma è un miracolo se in questo bailamme lui, che ha 63 anni e il fisico dritto come un fuso, ha tirato fuori pure un signor disco, composto di canzoni in passato già cantate da altri (ad eccezione di Tutto l’universo obbedisce all’amore in duetto con Carmen Consoli) ma raccolte con una sensibilità che pochi hanno: quella dell’armonia. Franco Battiato ha il dono dell’armonia, la sa riconoscere, distinguere, creare con un piglio che è solo suo. E così qui canta anche in francese come per Il venait d’avoir 18 ans di Dalida oppure in inglese nella sorprendente Sitting on the dock of the bay di Otis Redding che, da capolavoro soul, diventa un canto sereno, quasi gioioso che si muove di energia nuova. La stessa che lui dimostra parlando alla rinfusa, saltabeccando di argomento in argomento come volendo toccar tutto senza afferrare nulla.
Però Battiato, queste undici canzoni prese qui e là avranno pur un filo conduttore.
«Non ci ho mai pensato. Ma forse sono tutti brani che vengono da un’altra epoca, quando la musica leggera era primitiva e piena di gioia di vivere. Ormai non è più così».
Ma quell’epoca era davvero così distante dalla nostra?
«Per fare un esempio, una volta se sul palco dei concerti al Parco Lambro di Milano ci fosse stato anche solo il tappo di una Coca Cola, il pubblico avrebbe spaccato tutto. Adesso gli sponsor sono quasi più importanti dell’artista».
Eppure la musica non è mai stata così presente nella vita dell’uomo come in questo periodo. È addirittura invadente, si sente dappertutto.
«Ma io non ho più tempo di ascoltare pop. Preferisco la classica, che ti aiuta a concentrarti. Alla radio mi capita addirittura di aspettare cinque ore prima di sentire un bel brano pop: i deejay parlano troppo e parlano di cose che non mi interessano».
Però lei continua a fare musica leggera. E anzi in questo cd collabora pure con Anthony di Anthony and The Johnsons, uno dei nuovi eroi del pop col cervello.
«Me lo avevano già segnalato un paio d’anni fa, questo genietto. Stavolta è venuto in Italia a casa mia e abbiamo riarrangiato la sua canzone Frankenstein trasformandola in Del suo veloce volo: lui canta addirittura in italiano il testo che ho scritto io e che è molto particolare».
Perché?
«Racconta una storia che non conosceva nessuno. Una volta, leggendo la mano di un mio carissimo amico, avevo previsto la sua morte. Naturalmente allora non glielo dissi e speravo anzi di sbagliarmi. Invece è andata proprio così, purtroppo».
Lei ha sostanzialmente registrato un album di cover, cosa è che molto di moda in questo periodo.
«Ma io ho iniziato con il progetto Fleurs nel 1999, quando le cover non erano così frequenti».
D’altronde Battiato è spesso arrivato prima degli altri. Si ricorda di quando registrava le canzoni per i cosiddetti «net», quella sorta di 45 giri che davano in regalo in edicola?
«Come no? Era il 1964, avevo 19 anni e registravamo in Galleria del Corso a Milano. Mi davano 5 o 10mila lire per volta e a me andava benissimo perché a quel tempo pagavo 15mila lire di affitto e i soldi di certo non abbondavano nelle mie tasche. La prima canzone che incisi fu E più ti amo»
L’ha riregistrata anche in questo nuovo album.
«Allora avevo i capelli lunghi, poi li tagliai per andare a militare. E feci la visita di leva con Pierluigi Concutelli, che poi sarebbe diventato un terrorista nero.
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