La beffa degli evasi rétro: sbarre segate e lenzuola

Caccia a due detenuti stranieri che ieri all’alba sono scappati. Un altro è rimasto in cella: "troppo grasso" per passare dal buco

La beffa degli evasi rétro: sbarre segate e lenzuola

In attesa del decreto svuota-carceri, detenuti di buona volontà si stanno prodigando per uno svuotamento fai-da-te. Il problema del sovraffollamento è molto serio, siamo in piena emergenza, bisognerà pure che qualcuno cominci a rimboccarsi le maniche. Un rumeno e un albanese, che risiedevano nella seconda sezione di Regina Coeli, si sono offerti volontari e l’altra notte hanno liberato un po’ di spazio, tagliando la corda. In senso più stretto, la corda l’hanno annodata come si usava una volta, un lenzuolo con l’altro, fino a raggiungere la lunghezza necessaria per calarsi prima dal terzo al secondo piano, quindi dall’alto muro di cinta.
Tanti saluti al pericoloso albanese Altin Hoxha, re delle rapine in villa (nel gennaio scorso quella dell’allenatore Serse Cosmi, a Perugia), e tanti saluti al rumeno Stefan Cusnir, specializzato nel settore bancario: si sono conosciuti in cella, hanno condiviso stessi ideali e stessi progetti, in una notte favorevole hanno messo su la società di fuga. Erano le tre quando hanno risposto all’ultima conta, già alle cinque non c’erano più. Alle loro spalle, come ormai si vede soltanto nelle vignette della «Settimana Enigmistica», la finestra della cella con le sbarre segate di fino. Il capolavoro è macchiato solo da un tragico errore di calcolo: un terzo socio dell’impresa, troppo largo per passare, ha dovuto salutarli, fermandosi a invidiarli molto.
Eravamo tutti concentrati sull’evasione degli spudorati di Cortina, improvvisamente veniamo catapultati sull’altro significato di questo bivalente vocabolo. Dalle carceri italiane si va e si viene con sempre più disarmante facilità: negli ultimi giorni, in quattro hanno tolto il disturbo. Già sembra di vedere i poveri direttori sull’uscio, come le mamme dei tempi andati, che urlano «questo carcere non è un albergo».
Il problema è penoso e risaputo: i penitenziari sono pochi, mal tenuti, mal controllati. Che due tangheri riescano a scappare da Regina Coeli con i metodi dei loro colleghi ottocenteschi - forse in strada li attendeva una carrozza con sei cavalli pronti al galoppo -, che con gli attuali sistemi di controllo l’evasione stia diventando un azzardo ridicolo, tutto questo dovrebbe quanto meno preoccupare. Bisognerà pure che ce ne rendiamo conto, siamo con due piedi nel grottesco: mentre discutiamo di braccialetto elettronico, i detenuti fuggono ancora segando sbarre e annodando lenzuola, come nei film western, nel cuore di Roma.
Naturalmente, si parla di fuga rocambolesca. Peccato che di rocambolesco sia rimasto ben poco: evasioni come questa, al giorno d’oggi, sono semplicemente ridicole ed umilianti.
E di certo non sarà l'ultima. Ci si può giurare. Per contrastare le pulsioni dei nuovi Vidocq, mito e signore di tutte le evasioni, lo Stato italiano schiera difatti forze sovrumane. I sindacati degli agenti rivelano che l’altra notte erano di turno due guardie su quattro piani, là dove ne sarebbero previsti otto. Non solo: per disgraziata coincidenza, nella stessa sezione ci sono 240 detenuti, contro i 120 previsti. Cioè, ricapitolando: dove i sistemi di sicurezza impongono 8 agenti e 120 detenuti, noi schieriamo 2 agenti e 240 detenuti. Poi la chiamano rocambolesca: siamo seri, come evasione è una scampagnata. Casualmente, i due sono atterrati proprio ai piedi di una garitta, dove da tempo non sale più nessuno per carenze di organico.
«A Regina Coeli i detenuti hanno superato la capienza massima raggiungibile, 1.180 presenti per 724 posti», spiega allarmato Leo Beneduci, segretario della sigla sindacale Osapp. «Eppure il vero problema riguarda la carenza di agenti: siamo sotto del 30 per cento».
Stando così le cose, l’unico numero che continuerà a salire sarà quello delle evasioni. È una legge fisica: meno ostacoli si frappongono tra detenuto e libertà, più facile è cadere in tentazione e andarsela a riprendere, questa perduta libertà.
Poi, il film diventa sempre lo stesso: inchiesta della magistratura, foto segnaletiche ovunque, posti di blocco e pattuglie sguinzagliate, nella solita, romanzesca, «imponente caccia all’uomo». Un numero considerevole di uomini viene schierato a rimettere una pezza là dove lasciamo aperte voragini.

Somme imprecisate di soldi pubblici vengono sprecate nella frenetica rincorsa. L’idea stessa di queste «imponenti cacce all'uomo», in epoche di crisi e di nuove tasse, di spread e di declassamenti, aggiunge assurdo all’assurdo.

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