Fu nel marzo del 2017. Una signora di Cremona chiedeva insistentemente una mia visita per vedere alcune opere nella sua casa di campagna a San Felice. La bella architettura neoclassica a fianco del Santuario era ricca di notevoli decorazioni e di quadri; ma, nei modesti ambienti di servizio del piano superiore, mi attendeva una inattesa quanto sorprendente scultura. Davanti a me era, di incredibile nitore, in marmo statuario di Carrara, un busto di donna, con i capelli raccolti in un nastro, firmato sul retro «ANT. CANOVA. F. A. 1811». Un'opera del tutto inedita del grande scultore, al tempo della Venere italica che aveva fatto dire a Ugo Foscolo: «Io dunque ho visitata, e rivisitata, e amoreggiata, e baciata, e, ma che nessuno il risappia, ho anche una volta accarezzata, questa Venere nuova... Se la Venere dei Medici è bellissima dea, questa ch'io guardo e riguardo è bellissima donna; l'una mi faceva sperare il paradiso fuori di questo mondo, e questa mi lusinga del paradiso anche in questa valle di lacrime». All'opera fu riservato con tutti gli onori il posto del capolavoro perduto agli Uffizi; e quando la Venere Medici tornò a Firenze, fu trasferita a Palazzo Pitti, dove ancora si trova.
Sebbene fosse stata spedita per sicurezza da Firenze a Palermo, e affidata in custodia ai Borboni di Napoli, l'Afrodìte Medici, tra le più celebrate statue della Grecia classica (la sua presenza è documentata per la prima volta nel 1638 a Roma, a Villa Medici, da cui il nome) era stata sottratta dai commissari francesi del Direttorio che la inviarono a Parigi per volere di Napoleone. Inizialmente, il re d'Etruria, Ludovico I di Borbone, valutò di commissionare a Canova una semplice copia, ma l'artista preferì eseguire un'opera nuova e del tutto originale, secondo il precetto condiviso con Andrea Chenier: «Facciamo versi antichi su pensieri nuovi». Una Venere rinnovata, non duplicata. La scultura per Gaetano Bolzesi appartiene, dunque, al momento più alto della maturità del Canova che l'anno dopo, nel 1812, iniziò anche Le tre Grazie.
Ho cercato già all'epoca notizia di una committenza cremonese a Canova. L'opera era conservata in Villa Mina Bolzesi Martucci, a Santa Maria del Campo. Dalle Memorie storiche della città di Cremona di Lorenzo Manini sappiamo che il Santuario anticamente apparteneva al capitolo della Cattedrale che lo fece costruire nel 1598 e lo dedicò alla Natività di Maria Vergine. Nel 1798 il compendio di Santa Maria del Campo divenne proprietà di Gaetano Bolzesi (Manini, 1819-1820, pag. 156). E fu certamente Gaetano Bolzesi a volere la decorazione neoclassica negli interni della villa, ma è assai probabile che la scultura di Canova sia stata commissionata e concepita per il palazzo Mina Bolzesi di città, eretto fra il 1812 e il 1815, sempre per volere di Gaetano, ricco borghese dedito al commercio. Resta incerta la paternità del progetto dell'edificio, generalmente riferito a Simone Cantoni, mentre la facciata, secondo la storiografia locale, spetta al giovane Carlo Sada. All'interno si distinguono gli ambienti di rappresentanza verso la facciata su strada e gli appartamenti privati verso il giardino. Il salone di ricevimento fu decorato da Giuseppe Diotti con tre affreschi alle pareti - la Danza delle Stagioni, la Condanna di Antigone, Ulisse presso Alcinoo - e la grande scena dell'Olimpo sul soffitto, corrispondenti ai quattro elementi (Terra, Fuoco, Acqua, Aria), eseguiti fra il 1817 e il 1826. Seguono altri ambienti con affreschi e stucchi in cui si conservano le uniche opere della collezione Bolzesi rimaste in loco: il Ganimede e l'aquila di Camillo Pacetti, la Tersicore danzante di Gaetano Monti, scultore ravennate, allievo di Canova. Pacetti, romano, fu docente alla cattedra di scultura dell'Accademia di Brera, ed eseguì porzioni della decorazione dell'arco del Sempione: due bassorilievi (Marte e Minerva e Resa di Dresda).
Sicuramente le due sculture erano in dialogo con il busto riapparso (e oggi in una sede sicura), essendo rimasto anch'esso sempre in proprietà della famiglia Bolzesi. Nella villa di Santa Maria del Campo gli stucchi del salone al piano terra recano la data 1823 e la firma Antonio Bollo di Como, mentre una incisione dell'epoca illustra il prospetto di Palazzo Bolzesi a Cremona. Alla verifica delle opere e dei giorni di Canova, in quel tempo si registrano i momenti più significativi della vita e dell'attività dello scultore.
La scoperta di un'opera nuova di Antonio Canova com'è la testa femminile da me denominata «la bella amata» è motivo di orgoglio per l'ampliamento del catalogo delle opere dell'artista. L'evidenza della qualità delle opere parla da sola. Ma è importante che la ricerca ci porti a ulteriori approfondimenti sulle origini della storia esterna, oltre l'emozione estetica, dell'opera ritrovata. Devo a Giuseppe Pavanello, studioso che negli ultimi decenni si è intensivamente occupato di Canova e ne ha dato il primo catalogo moderno delle sculture, alcune fondamentali puntualizzazioni sulla storia esterna della «bella amata». Di essa il proprietario Gaetano Mina Bolzesi parla in una lettera del 18 giugno 1917 ad Antonio Canova, dove tra l'altro lamenta il ritardo di un dipinto di Hayez nel suo Palazzo di Cremona: «Pregiatissimo signor Marchese. Ho l'onore di riscontrare il pregiatissimo suo foglio 8 corrente. Mi spiace il sentire che il signor Hajes non possa per ora occuparsi pel mio quadro: tanto più essendo mia intenzione di pregarlo per un altro quadro. Ma vi vole pazienza; e prego solo la di lei compiacenza a voler interessare il prosato signor Ajes, onde se ne occupi al più presto possibile, dovendo servire a compire una sala, che va ad essere ornata di altri due quadri, uno del signor Palaggi, e l'altro dal signor Diotti. Io mi trovo possessore di un'oppera sua, cedutami dal signor Pezzoli di Bergamo. È una testa mugliebre da lei eseguita nel 1811. Quanto aggradirei due sue righe in proposito, che servirebbero a documentare, che questa pregevolissima oppera è sua, cioè del più illustre artista. Mi preggio di protestarmi colla più profonda stima devotissimo ed obbedientissimo servitore».
Apprendiamo dunque che la testa di Canova era stata inizialmente concepita per il bergamasco Antonio Pezzoli, collezionista di opere d'artisti contemporanei, tra cui Benvenuti, Camuccini e Angelica Kauffmann. Nel 1806 incaricò Gaspare Landi di dipingere un Ritratto di Antonio Canova (ora all'Accademia Carrara di Bergamo). Il 26 giugno 1812 scrisse allo scultore: «Colla maggior compiacenza ho ricevuto ieri l'eccellente di Lei lavoro, nella bellissima testa di donna veramente greca, che si è compiaciuto mandarmi». Il marmo entrò qualche hanno dopo, per intervenuta vendita, nella collezione del cremonese Gaetano Bolzesi. Per quanto concerne la titolazione del soggetto, Isabella Teotochi Albrizzi pubblicò nel terzo tomo del suo volume sulle Opere di Antonio Canova, del 1823, un'illustrazione (tav. 90) del Busto di Erato «pel signor Conte Pezzoli di Bergamo».
Possiamo dunque concludere che la nuova opera di Canova, attraverso la rappresentazione della figura mitologica, evocasse le proprietà amorose della musa Erato, «colei che provoca desiderio». Nella mitologia greca Erato, figlia di Zeus e di Mnemosine, è una delle Muse, quella del canto corale e della poesia amorosa. Il suo nome corrisponde a «amabile» nell'area semantica di Eros, secondo quanto propone Apollonio Rodio nella invocazione a Erato nel III libro delle Argonautiche. Erato viene citata insieme alle altre Muse anche nella Teogonia di Esiodo e viene invocata nel proemio di un poema ora perduto, la Radina, citato da Strabone.
La romantica storia di Radina determinò un culto sulla sua tomba, che si trovava sull'isola di Samo, all'epoca di Pausania meta del pellegrinaggio degli innamorati infelici. Erato è collegata all'amore anche nel Fedro di Platone.«La bella amata» è, dunque, Erato.
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