Cosa accade se una passione usurpa il posto di comando della ragione? Cosa accade se la vita di una persona è condotta dai cavalli (le passioni) e non dall’auriga (la ragione)?
Facciamo due esempi che riguardano, rispettivamente, il timore (o paura) e la tristezza.
Partiamo dalla paura: ci occuperemo, quindi, di uno dei problemi maggiormente diffusi al giorno d’oggi, l’ansia. Esatto: l’ansia non è altro che una paura. Nella maggior parte dei casi non è legata a un oggetto specifico, ma è generalizzata alla vita intera. I miei colleghi distinguono tra paura e ansia sulla base dell’oggetto della passione: la paura sarebbe la passione suscitata da un oggetto reale, mentre l’ansia riguarderebbe un oggetto immaginario. Personalmente, non credo che questa distinzione sia così fondamentale: ogni oggetto, anche reale, che scatena la paura, ha una valenza simbolica/immaginaria.
Cosa teme, quindi, la persona che combatte contro l’ansia? In genere, due cose:
1) L’idea di perdere i beni di questo mondo e il loro godimento. È la paura di perdere il benessere, la salute, la sicurezza, le relazioni, la reputazione...
2) Il timore di Dio. Questo tipo di ansia riguarda il timore di perdere l’amore di Dio, di scontentarlo e di incappare nei suoi terribili castighi.
La risposta a queste paure è già contenuta nelle Scritture.
Citiamo, ad esempio, il Salmo 22: «Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza» (4); oppure il Salmo 27 (26): «Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore? Quando mi assalgono i malvagi per straziarmi la carne, sono essi, avversari e nemici, a inciampare e cadere. Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; se contro di me divampa la battaglia, anche allora ho fiducia» (1-3); o la Lettera agli Ebrei: «La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: non ti lascerò e non ti abbandonerò. Così possiamo dire con fiducia: il Signore è il mio aiuto, non temerò. Che mi potrà fare l’uomo?» (13,5-6).
E come dimenticare la predica per l’inizio del pontificato tenuta da san Giovanni Paolo II, domenica 22 ottobre 1978? «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa “cosa è dentro l’uomo”. Solo Lui lo sa! Oggi così spesso l’uomo non sa cosa si porta dentro, nel profondo del suo animo, del suo cuore. Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra. È invaso dal dubbio che si tramuta in disperazione. Permettete, quindi - vi prego, vi imploro con umiltà e con fiducia -, permettete a Cristo di parlare all’uomo. Solo Lui ha parole di vita, sì!, di vita eterna».
Si può quindi, a ragione, affermare che l’ansia è la conseguenza di una scarsa fede in Dio, nella Sua misericordia e nella Sua Provvidenza. La soluzione è, dunque, affidarsi a Dio completamente, nell’atteggiamento ricordato dal Salmo 131: «Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia» (2). Ricordiamo, soprattutto, il famoso brano del Vangelo che recita: «E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena» (Mt 6,28-34).
Cos’è la paura, se non una forma di preoccupazione? Non ci occupiamo, forse, quando abbiamo paura, di qualcosa che ancora non c’è? Riguardiamo la tabella di san Tommaso: la paura è causata da un male impossibile da superare, ma... assente. Se ci facciamo caso, infatti, notiamo che la paura è sempre preventiva: una volta che ci troviamo nella situazione temuta, la paura scompare e subentra l’ira, la passione che proviamo quando ci troviamo in presenza di un male arduo. Oltre all’affidamento a Dio, quindi, esiste un altro modo per superare la paura: affrontarla. Superarla passandoci in mezzo, porsi (gradualmente) faccia a faccia con il pericolo temuto.
Se la paura prende il sopravvento
Tutto questo, però, vale fino a un certo punto. Siamo ancora su un terreno di scontro, nel quale la ragione lotta (più o meno faticosamente) per ridurre all’obbedienza la paura. È una situazione naturale, fisiologica, considerato che la perfetta obbedienza delle passioni va conquistata in anni di esercizi ascetici che noi moderni non prati- chiamo più. Non è un problema. Il problema comincia quando la passione vince la sua lotta contro la ragione, ne prende il posto di comando e comincia a condurre la vita delle persone. In questo caso, la biga umana è in balia dei cavalli e l’auriga ha perso completamente il controllo. A questo punto la persona non è più libera: è schiava delle passioni. Così, infatti, scrive sant’Agostino:
«La persona onesta, anche se è schiava, è libera; il malvagio, anche se ha il potere, è schiavo, e non di un solo individuo ma, che è più grave, di tanti padroni quante sono le passioni»9. Già, proprio così: è libero chi segue la ragione; chi segue le passioni è schiavo.
Vale la pena di ripeterlo: il problema non sono le passioni in sé. Come abbiamo detto, sono necessarie. Il problema è il rapporto tra le passioni e la ragione, è chi comanda la vita dell’uomo. Facciamo un esempio per chiarire meglio il concetto. La paura è una passione necessaria: ci avverte di situazioni potenzialmente pericolose, ci tiene all’erta, vigili e pronti. Probabilmente ognuno di noi ha in mente una situazione nella quale la paura lo ha salvato. La paura, per usare una metafora, è un semaforo giallo. Ci dice: «Stai attento, questa è una situazione potenzialmente pericolosa». Non è un semaforo rosso, non ci dice: «Non andare! Fermati!». Non spetta alla paura prendere decisioni, spetta alla ragione, spetta a noi. Siamo noi che lasciamo a lei il compito di decidere della nostra vita, le lasciamo le redini della biga e le diciamo: «Fai tu, pensaci tu». Forse perché non ci piace la tensione emotiva che la paura crea. Anche dal punto di vista clinico i problemi cominciano quando la paura vince sulla ragione e prende il controllo della nostra vita. Quando la paura non è più occasionale, legata a un singolo oggetto o a una singola situa- zione, ma diventa praticamente perenne, legata a quasi ogni situazione, la chiamiamo «ansia». Proviamo ansia in ogni situazione nuova, in situazioni dove c’è la remota possibilità di farsi del male, di provocare o subire un incidente, di stare male, di scontentare qualcuno... Talvolta non si capisce nemmeno da cosa è provocata, tanto è continua; in questo caso la chiamiamo «ansia generalizzata».
Paradossale: abbiamo lasciato le redini della biga all’ansia perché non sopportavamo di dover lottare per ridurla all’obbedienza, pensando di risolvere il problema. In realtà ne abbiamo creato uno peggiore. Adesso la tensione è continua e insopportabile. Allora... cerchiamo alcune strategie che possano salvarci da questo continuo malessere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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