Esistono alcuni insospettabili acronimi in inglese che travestono impronunciabili parolacce.
E poi ce ne sono altri, pratici quanto la cultura che li inventa.
E tanto ovvi da sorprendere chi voglia leggervi chissà quale recondito messaggio in codice.
W.F.H o R.T.O? Questo è il dilemma. Se è meglio lavorare da casa (work from home) o se è preferibile ritornare in ufficio (return to office).
Che poi è lo stesso quesito amletico che attanaglia il popolo italiano, coniato però in un nostrano “italenglish”, incomprensibile agli anglofoni.
“Smart working” sì o “smart working” no? Ovvero: è meglio LDC oppure RIU?
Così, mentre con espressioni diverse, in gran parte degli ambiti produttivi si dibatte la questione dall’avvento del Covid, gli americani( che forse non hanno mai smesso di farlo) toneranno a discuterne presto.
Sicuramente dopo l’11 maggio 2023, che secondo l’ultimo avviso delle Casa Bianca, segnerà, con un mese di anticipo, la fine dello stato di emergenza negli Stati Uniti.
Ma una cosa è certa secondo gli esperti, che il W.F.H rimarrà una realtà.
Anche se riscenderanno in campo i lavoratori e datori di lavoro con posizioni divergenti.
Sara Sutton, amministratore delegato di Flex Job, un servizio online per professionisti in cerca di lavoro flessibile, fornisce al New York Times gli eloquenti risultati di un’inchiesta sulla piattaforma di Linkedin.
Su un 12,1 per cento di offerte di lavoro da remoto, il 51.9 si è candidata per un posto.
Segno che l’esigenza dello “smart working” è più sentita dal lavoratore che dal datore.
Che ha le sua legittime preoccupazioni rispetto al lavoro agile, ai cali di efficienza e produttività dei propri dipendenti.
E mentre ognuno tira l’acqua al suo mulino e la lista dei pro e contro si allunga, nuovi studi scientifici indagano gli effetti mentali e fisici del lavoro da casa.
E accendono i riflettori su una zona d’ombra che è lontana dall’argomento comodità avanzato dai sostenitori del lavoro agile e anche da quello della produttività caldeggiato dai datori di lavoro.
Il tema riguarda la salute e apre una finestra sul tema meno ovvio della riduzione di movimento che comporterebbe il lavoro da casa (anche al netto di maggior tempo libero per praticare sport).
In sostanza lavorando dalla propria abitazione non si compirebbero più quelle azioni quotidiane tanto importanti per la salute fisica. Mancherebbero all’appello tanti passi per chi rimane tra le mura domestiche. Tutti quelli che una persona fa per recarsi in ufficio, dal parcheggio alla scrivania, per uscire in pausa pranzo e raggiungere il ristorante, per salire e scendere le scale verso la metropolitana per esempio.
Insomma tutte quelle attività quotidiane definite Neat Activity ( termogenesi da attività non sportive) che risultano fondamentali per mantenere una buona omeostasi e quindi un corpo in salute come afferma il dott. Jordan Metzl specializzato in medicina sportiva collaborare del New York Times.
Poi ci sarebbe il fattore psicologico e la salute mentale che sarebbero a rischio. Il dottore Jordan mette in guardia dalla tecnologia e afferma che la mente fiorisce in un rapporto di relazione in carne ed ossa tra persone. Osservando le quali si impara a leggere il linguaggio del corpo e ad interagire.
Depressione e ansia sarebbero aumentate a causa del senso di isolamento che il lavoro da remoto provoca.
Gli esseri umani, scrive il dott Metzl, "non sono cambiati in 300,000 anni. Necessitano da sempre di movimento e relazioni" che costituiscono la migliore di prevenzione verso le malattie fisiche e mentali".
Suggerendo di non disperare se si dovesse tornare presto al lavoro in presenza perché
questo ha i suoi benefici a lungo termine, optando piuttosto per un partime ove possibile e ricordando che tecnologia e comodità a tutti i costi lavorano contro la nostra salute trasformandosi nei nostri peggiori nemici.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.