Scompenso cardiaco, le patologie concomitanti aumentano i rischi di re-ospedalizzazione

Da quattro comorbità non cardiache i casi più gravi, i dati di uno studio italiano

Scompenso cardiaco, le patologie concomitanti aumentano i rischi di re-ospedalizzazione
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Con scompenso cardiaco intendiamo una condizione patologica in cui il cuore non è in grado di pompare correttamente il sangue nei vasi sanguigni e garantire così il necessario scambio di ossigeno e anidride carbonica. Nel nostro Paese si ha una frequenza della malattia di circa il 2%, con una maggiore incidenza in età matura. Ad oggi viene considerata la patologia di natura cardiovascolare ad avere una maggiore prevalenza e incidenza sulla popolazione.

Un recente studio effettuato da un team di ricercatori dell'IRCCS MultiMedica e dall'università Statale di Milano ha dimostrato come sussista un'importante correlazione fra scompenso cardiaco ed altre patologie concomitanti non di natura cardiaca. Parliamo, per esempio, del diabete, di patologie renali o tumori. A quanto pare i pazienti con scompenso, una volta dimessi dal ricovero ospedaliero, corrono un rischio maggiore di essere nuovamente ospedalizzati se soffrono di altre patologie.

Lo studio italiano, pubblicato sulla rivista European Journal of Internal Medicine, ha dunque dimostrato che esiste un legame fra questa insidiosa (e spesso anche asintomatica) condizione cardiaca e le altre malattie che possono coesistere in un paziente. Quando un individuo, oltre allo scompenso cardiaco, presenta più di quattro comorbidità, corre un rischio maggiore di essere ricoverato una seconda volta, se non di più. Questo rispetto a chi, invece, non è affetto da altre patologie. Non solo. In caso di quattro comorbidità, il paziente è maggiormente a rischio anche per quanto concerne la mortalità.

Abbiamo visto che lo scompenso cardiaco è più presente in età avanzata. Un altro dato da tenere in considerazione è il genere. Sembra in fatti che gli uomini corrano un rischio maggiore di essere ri-ospedalizzati rispetto alle donne (+15%).

"Oggi lo scompenso cardiaco viene valutato sulla base delle classi NYHA, basate solo sui sintomi della cardiopatia, senza una descrizione della sua possibile evoluzione nel tempo. Il nostro lavoro dimostra come la concomitanza di altre patologie non cardiache rappresenti un valido indicatore di gravità dello scompenso e della sua probabile traiettoria clinica, candidandosi a diventare un nuovo e utile strumento per stratificare il rischio dei pazienti e selezionare quelli in cui intensificare precocemente le cure, per evitare seconde ospedalizzazioni", ha dichiarato Antonio E. Pontiroli, professore di Medicina Interna all'università Statale di Milano, oltre che coordinatore dello studio, come riportato da DottNet.

Per arrivare all'importante risultato di questa ricerca, il gruppo di lavoro ha esaminato i dati messi a disposizione dai database della Regione Lombardia. In tutto la statistica è stata realizzata su un campione di oltre 10milioni di residenti, rispettando sempre la privacy del cittadino, dato che ciascun individuo è stato associato a un codice alfanumerico. Del vasto gruppo esaminato è emerso che degli 88.

500 soggetti dimessi con diagnosi primaria di scompenso cardiaco nell'arco temporale 2015-2019, ne sono stati nuovamente ricoverati circa 80mila, sempre per scompenso e nei 42 mesi di follow-up. Molti presentavano comorbidità non cardiache, come malattia renale cronica, diabete, broncopneumopatia cronica ostruttiva, tumore, patologie cerebrovascolari, demenza e altro ancora.

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