Berlusconi: «Vince il secondo quando il primo fa i trucchi»

Gian Piero Scevola

«O è colpa di tutti o di nessuno». No, Silvio Berlusconi non accetta questo teorema. «Stanno tirando dentro il Milan, ma il Milan ha vinto sul campo». Così il leader azzurro, nell’arrivare al gruppo di Forza Italia alla Camera, commenta la crisi del mondo del calcio. Per lui, che a breve tornerà presidente del club rossonero, la chiamata in causa della squadra del cuore è quasi un affronto. E la difesa sa tanto di attacco a testa bassa: «Non conosco persona più limpida di Galliani, che non avrebbe mai fatto qualcosa di sbagliato, a maggior ragione con me presidente del Consiglio». E poi, scherzando, ma fino a un certo punto, col capogruppo Elio Vito, tifoso juventino: «Chiederò la restituzione dei due scudetti al Milan. In una corsa, quando il primo fa i trucchi, è giusto che vinca il secondo». E ancora, non contento: «E rivoglio indietro anche il titolo del 1990, quello vinto dal Napoli». Chiaro il riferimento alla monetina in testa ad Alemao a Bergamo (guarda caso, con Luciano Moggi dg dei campani, ndr).
A smuovere l’ex premier e a procurargli qualche fastidio è stata la notizia di ieri mattina che, fosse stata vera, sarebbe stata a dir poco ghiotta: un tutor per Adriano Galliani, il presidente della Lega. Una notizia che ha suscitato euforia in chi non vuole più l’amministratore delegato rossonero al vertice della Confindustria del calcio, ma anche sconcerto in tanti perché proprio Galliani è stato il garante della regolarità dei calendari e del calciomercato, senza dimenticare quella che una volta era considerata una equa ripartizione dei diritti televisivi e l’accordo di mutualità che garantiva la sopravvivenza della B. Insomma, un’attività frenetica che l’aveva però messo nel mirino, guarda caso, di quegli stessi presidenti di società che l’avevano eletto a larghissima maggioranza, dopo il tentativo di Diego Della Valle e di un gruppetto di club che aveva inutilmente tentato di scalzarlo.
Proprio l’incontro dell’ad rossonero di lunedì col commissario straordinario Guido Rossi aveva suscitato chissà quali aspettative: il tutor, il passo indietro, le dimissioni tra un mese. Quello che doveva essere un meeting istituzionale tra i due maggiori esponenti del nostro calcio, un faccia a faccia per cercare magari una soluzione ai tanti problemi, è stato invece trasformato in un processo a Galliani. Bufale, falsità, informazioni sbagliate: chiamatele come volete, ma tutto, o quasi, quello che è stato pubblicato o detto ieri, è da cancellare. E senza usare il bianchetto di dalemiana memoria, è bastato uno scarno comunicato della Federcalcio verso mezzogiorno per mettere le cose a posto. Perché quando Rossi ha aperto i giornali, prima di partire per Monaco di Baviera, è letteralmente saltato sulla sedia: titoloni e interpretazioni sul colloquio avuto con Galliani che niente avevano a che vedere con l’effettiva realtà di quanto avvenuto, di quanto deciso.
Sul sito della Federcalcio è dunque apparsa una smentita di Rossi: nessuna decisione è stata presa sul futuro della Lega. Due periodi dove il commissario smentisce appunto le notizie pubblicate dai molti giornali relative a un accordo con Galliani «su una nuova e diversa struttura gestionale e di vertice della Lega stessa». Inoltre, «nel corso del colloquio, non è stata presa alcuna decisione né da una parte né dall’altra, sui futuri assetti della Lega nazionale professionisti». Poche parole, ma chiare e precise, che non lasciano dubbi o suscitano perplessità.
Quindi niente tutor; nessun «controllore» fino al giorno dell’addio di Galliani, a fine mondiali o ai primi di settembre; stop all’ipotesi del garante fino a quando il rossonero lascerà; nemmeno un marcamento a uomo per convincerlo a dare le dimissioni; men che meno un atto di sfiducia da parte di Rossi. Tutti delusi, il circuito mediatico che ha fatto fronte comune per far cadere Galliani, questa volta ha fatto flop. Un flop totale, pieno, da far sorridere lo stesso presidente della Lega che, di questi tempi, non appare giustamente del miglior umore.
E non ci sta neanche il capo Ufficio Indagini, Francesco Saverio Borrelli che, sdegnosamente, respinge le accuse di faziosità. «Sono un poliziotto, devo raccogliere fonti di prova», le sue considerazioni ieri mattina prima di iniziare la lunga serie di interrogatori degli arbitri, respingendo pure al mittente tutte le accuse di essersi schierato. «Attribuire a me la propensione per una o per l’altra parte, con interessi anche diversi, mi sembra una forzatura che non corrisponde al mio carattere e alla mia storia». Altro che «resistere, resistere, resistere», questo Borrelli è un autentico muro che ributta indietro qualsivoglia ipotesi di un suo coinvolgimento pro o contro qualsiasi parte in causa. Come, in fondo, è giusto che sia per chi deve amministrare la giustizia.

E nel tardo pomeriggio, andandosene dopo un’intensa giornata di audizioni, Borrelli torna sull’argomento e lo chiude in modo secco e definitivo: «Il lavoro continua, cerchiamo di approfondire questa vicenda di cui ci hanno investito. Io devo raccogliere le fonti, poi valuterà la Procura federale».

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