Il peggio delle guerre non avviene neppure sui campi di battaglia; ma nei luoghi in cui il Potere si riunisce per decidere di dichiararle. Vincerle o perderle, peraltro, non è così importante. L'importante è continuarle.
La storia delle civiltà è una continua guerra, inframmezzata da più o meno brevi momenti di tregua. E proprio in una pausa, appena finito il secondo conflitto mondiale e mentre stava per iniziare una guerra «fredda» non meno costosa in termini di denaro, vite e libertà di una qualsiasi guerra guerreggiata, Ennio Flaiano (1910-72) - non così ingenuo da credere nel pacifismo e troppo intelligente per fidarsi dei militari - scrisse il suo primo testo per il teatro, La guerra spiegata ai poveri, rappresentato la prima volta all'«Arlecchino» di Roma il 10 maggio 1946, e che ora - dopo molto tempo, troppe guerre e quando la pausa sembra finita anche per noi - viene ripubblicato in volume dalle edizioni Rogas (titolo della collana, per non sbagliarsi: «Gli irregolari»).
Ed eccoci qui, nella stanza dei bottoni; e delle mostrine, e delle uniformi, e delle medaglie, e degli ordini irrevocabili. In scena: un Presidente, i suoi ministri, il Generale, l'Ambasciatore - tutti soddisfatti per aver appena inviato l'esercito su un nuovo fronte - e uno studente. Il quale chiede la parola e ammette di non sapere cosa sia la guerra: «Vogliate spiegarmela».
La «spiegazione» è un irresistibile atto unico di dialoghi incrociati, fra retorica a buon mercato, certezze che si sbriciolano, verità grottesche («Ora che ci penso abbiamo taciuto a quel simpatico ragazzo che in guerra si rischia di morire.
Abbiamo fatto male?»), sacrifici di poveri cristi, lampi in puro stile Flaiano («Sparando si diventa sentimentali») e una lezione d'autore non tanto sulla stupidità del Potere, ma sull'inesorabilità della guerra. Aspettando la prossima.Rullo di tamburo.
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