Il "Body of evidence" che racconta le visioni di Shirin Neshat

Al Pac di Milano la mostra curata da Sileo e Benedetti che porta l'artista oltre il ruolo di attivista

Il "Body of evidence" che racconta le visioni di Shirin Neshat
00:00 00:00

Capelli neri raccolti sulla nuca, occhi cerchiati dal kajal nero, foulard rosso al collo su cui pendono vistosi orecchini, l'artista iraniana Shirin Neshat - basti per la bio dire che si è aggiudicata il Leone d'Oro alla Biennale d'Arte di Venezia nel '99 e il Leone d'Argento per la regia al Festival di Venezia con Women without men, donne senza uomini, dieci anni dopo - si muove leggera tra le sale del Pac Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano dove da oggi apre quella che lei stessa definisce la sua «più grande mostra fatta in Italia». Un progetto partorito in tre anni, ben curato da Diego Sileo e Beatrice Benedetti, con allestimenti bianconeri che mettono a fuoco il corpo del reato ovvero quel Body of evidence, che dà il titolo a una personale «non autobiografica», ché Neshat appare un po' stufa di essere etichettata come l'artista-attivista-iraniana-che-parla-delle-donne-iraniane.

Nel denso percorso espositivo (dieci videoinstallazioni e quasi duecento foto) ci sono «i classiconi» che ne hanno decretato il successo planetario - quindi la dirompente serie fotografica «Women of Allah» che riprende volti e corpi femminili istoriati con calligrafie poetiche, con accanto un fucile: un esercito di donne iraniane pronto a difendersi e ad attaccare - ma anche progetti più recenti, tra cui The Book of Kings, con ritratti di iraniani, uomini e donne, i cui corpi riportano brani del poema epico del persiano Ferdowsi, un'opera dell'anno mille di cui in sala si ammira una riproduzione. Il lavoro ragiona sul tema dell'eroismo ed è nato in seguito ai brogli elettorali in Iran del 2009. Reazioni da Teheran? Dall'ambasciata in Italia per ora nessun commento. Neshat vive in esilio volontario da metà degli anni Novanta e da New York ha imparato a raccontare la sua terra d'origine da lontano, con disincanto talvolta ironico, ancor più spesso lirico e onirico. «Non provo più la nostalgia degli inizi, il mio Paese ora è l'America: sono un'artista, appartengo al mondo», dice.

Proprio agli Usa («Non sono più quelli di quando sono arrivata, ora la gente ha paura a immigrare») ha dedicato il suo ultimo film, Land of dreams: ha debuttato al Festival del cinema di Venezia nel 2021, ma non ha trovato alcun distributore in Italia.

In mostra ne vediamo un'installazione artistica: sono ritratti ripresi da quello che a prima vista pare un video-reportage sull'America rurale e poi si rivela un racconto surreale su una società segreta i cui membri analizzano i sogni delle persone.

Premonizione? «Sto lavorando a un nuovo progetto sugli Usa: uscirà a maggio». Ostinatamente ottimista, Neshat: «Resto una combattente, una che crede nella luce in fondo al tunnel - ci dice -. La mia speranza sta nell'umanità che non si arrende».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica