Il pasticciaccio brutto dellArena Jazzin Festival, con Palazzo Marino messo al muro - o la kermesse estiva viene affidata alla «Four One» o il Comune sarà costretto a risarcirla - è solo lultimo degli scivoloni dellassessore alla Cultura Stefano Boeri, nel mirino del rimpasto del sindaco. Un divorzio annunciato a novembre, con il caso Expo e la «frattura insanabile», ricucita alla meglio con il papocchio delle perdita delle deleghe a Expo, e solo rinviato alle politiche.
Un disastro più che annunciato. Con grande imbarazzo due giorni fa Palazzo Marino ha preso atto della sospensiva del Tar che ha annulla il bando di gara, vinto dalla «Net Service», per lorganizzazione del festival musicale al parco Sempione. Il copione sembrava già scritto: la «Net Service» non aveva mai preso contatti con gli artisti che aveva inserito in cartellone. Bastava verificare sul web i tour degli stessi artisti per rendersene conto, mica roba di spionaggio. Eppure...«non siamo degli sprovveduti» tuonava Stefano Boeri. Cosi ci ha dovuto pensare il Tar a evitare che sul palco dellArena ci fosse il deserto dei tartari. Ludienza nel merito è fissata il 14 novembre. «Prendo atto della decisione del Tar - commentava venerdì un laconico Boeri -. Ora valuteremo quale sia la strada più opportuna per garantire comunque ai milanesi una manifestazione di qualità per questa estate».
E dire che lassessore «Pierino» è avvezzo alle marce indietro: lultima risale solo a una settimana fa, quando è salito e sceso in men che non si dica dalla torre Galfa, occupata dal collettivo Macao. Se, infatti, Boeri era stato tra i primi a rendere omaggio ai lavoratori dellarte, prodigandosi addirittura in consigli - suggeriva protocolli di formalizzazione come strumento per vedere riconosciuta la «libertà» di occupare temporaneamente spazi vuoti perseguendo un progetto - altrettanto veloce è stato a scaricarli, dopo lo stigma del ministro ai Beni culturali Lorenzo Ornaghi per loccupazione a Brera. Così dopo aver proclamato che «il futuro di Milano è nella Torre Galfa», abbandonato dal collettivo Macao allex Ansaldo, si è rimangiato tutto (una piccola vendetta?) - chiedendo ai ragazzi di abbandonare il settecentesco palazzo destinato allampliamento della pinacoteca di Brera. «Loccupazione di Palazzo Citterio - commentava - mi sembra figlia di un vecchio modo di far politica. Quello che porta a bloccare un progetto che riguarda tutti, forse perché si ha timore di non esserne coinvolti; a esibire la propria voglia di protagonismo, anche a costo di compromettere unesperienza che ha insegnato molto a tutta la città».
Solo qualche giorno prima lassessore che ama le uscite in solitaria, affidate a facebook o a twitter, contestava in modo durissimo la proposta di affidare la gestione della Galleria a una fondazione mista pubblico privata: «La Galleria resti un salotto, non una vetrina, è inaccettabile lidea di farne una Rodeo Drive ambrosiana», ha sibilato. Non serve «un richiamo per i turisti giapponesi: loro arrivano comunque per la Scala, per Palazzo Reale, per le Gallerie d'Italia». Inutile dire quanto questa uscita su una questione delicata come quella del Salotto di Milano abbia irritato il sindaco, oggetto degli strali dellAnpi per lorganizzazione delle sfilate settembrine di moda alla Loggia dei Mercanti, che ospita il sacrario dei caduti per la Libertà, spostate in corner davanti alla Rinascente.
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