Bollo auto? Alla nautica è andata ancora peggio

LA LETTERA Il presidente di Ucina - Confindustria Nautica, Anton Francesco Albertoni scrive al "Giornale"

Bollo auto? Alla nautica è andata ancora peggio

Egregio direttore,
nel numero de Il Giornale del 6 giugno, l’acuto Nicola Porro stigmatizzava – a puro titolo di esempio – quanto fatto dal governo con l’introduzione del superbollo auto: 168 milioni di euro di entrate stimate a fronte di 110 milioni di perdite già accertate per mancato gettito Iva, bollo e imposta provinciale. Cui vanno aggiunti gli ammanchi per l’erario generati dal (mancato) indotto della gestione e manutenzione dei veicoli nel frattempo non venduti e dal mancato acquisto del relativo carburante.

Nella nautica è andata molto peggio. A fronte di 200 milioni previsti dalla tassa sulle barche avremo perdite di un miliardo di euro e la modifica da imposta di stazionamento in acqua (che colpiva anche il turismo straniero) a imposta di possesso ha solo parzialmente tamponato l’emorragia dalla nautica italiana di connazionali e stranieri. Intanto i porti italiani, parzialmente svuotati dall’effetto notizia sono ora pieni di cartelli «vendesi». Barche e posti barca. Tutto questo è stato possibile anche perché a differenza dell’automotive – che è un patrimonio culturale comune – la barca, di qualunque dimensione sia, è spesso utilizzata come emblema della ricchezza e quindi additata al pubblico ludibrio. Dimenticando, anzi cancellando, anche dalla comunicazione dei media, il valore economico e l’indotto. Il silenzio più assordante è calato sui nostri posti di lavoro persi, che sono una moltitudine che fa apparire irrilevante, lo dico con estremo rammarico, la vicenda di Termini Imerese.

Qualche mese fa è stato facile plaudire alla tassa per cui «anche i ricchi piangono», ma purtroppo a pagare saremo tutti. Magari senza saperlo. Lo stesso Giornale, nelle pagine di Genova, raccontava come a Santa Margherita Ligure il comune è costretto ad aumentare l’addizionale Irpef - che graverà su tutti i cittadini - per far fronte ai mancati introiti dagli ormeggi del porto e dalle attività nautiche. Un esempio non isolato, che coinvolge centinaia di territori costieri, che andrebbe ricordato e ricordato ancora. Per il futuro e il bene del Paese.
Anton Francesco Albertoni
presidente Ucina-Confindustria Nautica

Caro Presidente,
lei non solo ha ragione, ma è sin troppo educato. Meritavo di essere bacchettato per la mia colpevole dimenticanza. Al Giornale abbiamo sempre creduto nel settore, e lo dimostrano queste pagine ben confezionate da Antonio Risolo. La nautica è una delle eccellenze di questo Paese. Girare per i porti dell’Europa e vedere con bandiere straniere i nostri favolosi prodotti, riempie di orgoglio. E solo anni di assurda colpevolizzazione nei confronti della nautica hanno portato a misure demenziali (anche dal punto di vista prettamente contabile) come quelle da lei indicate. Veda Presidente, io direi di più. Lei scrive che «la barca è utilizzata come emblema della ricchezza». E ha ragione a sottolineare come vi sia anche una bella e vasta «nautica popolare». Ma resta il fatto che la ricchezza non è un peccato.

É spesso il segno del proprio successo e delle proprie capacità. Un Perini con tre alberi non è un monumento all’evasione. É un inno alla bellezza del saper fare italiano. É un brutto Paese quello in cui ci si compiace nel far piangere i ricchi.
Nicola Porro

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