Da Bologna aut aut ai ricercatori «Chi sciopera sarà sostituito»

Come in un film del neorealismo, dove gli operai della fabbrica si fermano. E allora il proprietario dell’azienda fa arrivare un camion pieno di «tute blu», pronte a rimpiazzare gli scioperanti. Solo che qui non siamo alla catena di montaggio, ma all’università. E a incrociare le braccia, invece degli operai, ci sono i ricercatori. Ma cambia poco, considerato che i presidi dell’ateneo di Bologna stanno inviando una lettera ai docenti per sapere - entro venerdì alle 13 - se sono disponibili a tenere i corsi per il nuovo anno accademico che comincerà nei prossimi giorni, o se aderiranno al blocco della didattica per protestare contro la riforma Gelmini. In caso di rifiuto o in assenza di risposta, «la facoltà dovrà individuare modalità alternative di copertura degli insegnamenti»; e, a qual punto, sarà inevitabile il ricorso a bandi per professori a contratto esterni all’ateneo.
«Cari colleghi - si legge nel documento firmato dal rettore - pur nella consapevolezza del grave disagio e delle difficoltà che i ricercatori stanno attraversando, sono a chiedervi - in conformità alla deliberazione unanime del Senato Accademico di quest’oggi - di confermare o meno la vostra disponibilità a garantire l’avvio delle attività didattiche che rappresentano un dovere dell’Ateneo nei confronti degli studenti e delle famiglie le quali, al pari nostro, stanno fronteggiando momenti di profonda crisi economica e sociale. Vi chiedo pertanto di restituirmi, debitamente compilata e sottoscritta, la dichiarazione allegata alla presente, entro le ore 13:00 di venerdì 17 settembre». Venerdì 17, una data che è tutto un programma. Ma qui - toccare ferro - serve a poco. La missiva, infatti, parla chiaro: «In assenza della dichiarazione allegata entro il termine indicato, ovvero in caso di dichiarazioni di indisponibilità a svolgere l’attività didattica, la Facoltà dovrà individuare modalità alternative di copertura degli insegnamenti, al fine di assicurare l’avvio delle lezioni». Seguono i ringraziamenti del rettore.
Una decisione destinata, inevitabilmente, a sollevare polemiche. Ad autoproclamarsi alfiere del dissenso è il senatore del Pd, Ignazio Marino: «Vogliamo chiedere davvero ai ricercatori di essere silenziosi e immobili? Di continuare a svolgere il loro indispensabile compito senza disturbare nessuno, senza testimoniare quanto la loro sorte sia legata al destino stesso delle nostre Università?». E poi: «È giusto far sapere all’Italia che buona parte dei corsi di laurea si reggono sulle spalle dei ricercatori». Sì, quelli che si impegnano e lavorano sul serio. Che sono tanti, ma non certo tutti... Ma da questo orecchio Marino non ci sente: «Non è forse vero che loro garantiscono il 40% della didattica nelle università italiane? Sono certo che il rettore dell’Alma Mater ne sia ben conscio: chiamare in causa dei docenti a contratto rischia di scatenare una guerra tra i soggetti meno tutelati, che non serve né all’università né agli studenti».
Sulla stessa linea anche l’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (Adi): «Vicende come quella di Bologna sono il risultato di un’università che si è strutturata sull’uso degli “ultimi“ per mantenere in piedi insegnamenti e corsi. Ci sono intere facoltà che si basano sui corsi tenuti dai ricercatori. Il fenomeno è diffuso in tantissimi atenei e va avanti da tempo».

E - invece di porsi il problema di feremarlo - il capogruppo del Pd in commissione Cultura alla Camera, Manuela Ghizzoni, preferisce mettere il broncio: «L’ultimatum ai ricercatori di Bologna ha sapore di thatcherismo». Secondo Ghizzoni dovrebbe essere un’offesa. Ma forse - suo malgrado - un complimento.

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