La borghesia del Nord alla fiera radical chic

La lunga storia della sinistra e di quell’altro filone considerevole che da queste parti è rappresentato dai cattolici democratici, si esaurisce in Lombardia nella candidatura a capolista del Pd di un «giovane» quasi industriale: Matteo Colaninno. Lo nota anche quella sorta di Cassandra che è il già senatore del Pci Emanuele Macaluso. D'altra parte il frutto più ricco di quella tradizione, il riformismo socialista, non trova quasi più rappresentanza nelle liste del Pd e della sua coalizione a Milano e dintorni. Si preferisce far posto ai D'Ambrosio e ai Di Pietro.
Peraltro questa, sotto la Madonnina non è una nuova tendenza. Nel 1995 viene candidato per la sinistra alla presidenza della Regione, Diego Masi, che poi tornerà a destra. Poi come candidato a sindaco del Comune di Milano viene scelto l'ex presidente dei giovani industriali Aldo Fumagalli. Qualche anno dopo si punta in Regione su Riccardo Sarfatti, che si presenta come esponente dell'ala liberal di Confindustria. Sarfatti, almeno, è sempre stato di sinistra. Nell'ultima corsa per Palazzo Marino si arriva a puntare su un prefetto, Bruno Ferrante. E ora si tira fuori dal cappello come capolista lombardo del Pd Matteo Colaninno, presidente in carica (dimessosi solo nel momento dell'annuncio) dei giovani industriali.
Che cosa racconta questa lunga vicenda? Che la sinistra romana considera Milano e Lombardia terra di infedeli, gentaglia dedita ai riti del libero mercato, ribelli al dirigismo statale e pansindacalistico, da trattare con la sferza (vedi Malpensa, gentilonismo e dipietrismo) e con le perline, cioè gli industriali civetta che mascherano una politica che non c'è più. Amministratori di sinistra che non sempre fanno male ce ne sono, anche se arrancano molto: ma valorizzare costoro, invece di scegliere candidati civetta significherebbe avviare una riflessione su quello che è successo e soprattutto nel medio periodo lanciare persone autonome da Roma, che ne potrebbero mettere in discussione il potere.
Meglio dunque per Veltroni, procedere così, con liste Beautiful piene di gente che piace: tanti figli, figlie, mogli di banchieri, editori, industriali. Una linea Dynasty, come nota il giornale rifondarolo Liberazione.
Certo, scelte come quelle di Colaninno jr. oltre che parlare del fallimento della sinistra lombarda, ci dicono molto dei limiti di una certa borghesia di queste parti. Industriali che scelgono la sinistra ce ne sono e di valore, come Riccardo Illy che prima a Trieste e poi in Friuli vince in una realtà largamente di centrodestra. Ma quelli di valore sono quelli che «scelgono» la sinistra, non quelli «scelti» come cagnolini da esposizione, senza partecipare alla formazione di un programma, di un'idea, di obiettivi condivisi.
Questa borghesia da fiera della vanità è stata rilanciata dalla presidenza confindustriale di Luca Cordero di Montezemolo, è coccolata nei salotti radicali e dal Corriere della Sera, rappresenta una realtà esangue di figuranti per convegni: la Confindustria convegnistica come viene chiamata, che ha i massimi interpreti in Luigi Abete e Innocenzo Cipolletta - personaggi peraltro di spessore - e le scintillanti comparse negli Aldo Fumagalli e nelle Anna Maria Artoni.

Una realtà evanescente che però segnala anche i limiti della borghesia e degli imprenditori veri di Lombardia, troppo «deleganti» prima alla Dc, Pri, Pli, ora al Silvio, troppo distratti dal loro duro lavoro per dedicare - come sarebbe necessario - un minimo di testa anche alla politica.
Lodovico Festa

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