Una volta, il denaro che pioveva lì a getto continuo era considerato “another brick in the wall”. Un mattone dopo l’altro, e il muro della massa gestita era arrivato a toccare i 1.000 miliardi di euro. I tempi aurei sembrano però ora un ricordo lontano per i fondi immobiliari europei, costretti a far fronte alla ritirata dei sottoscrittori. Una massa di pentiti che dall’ottobre scorso sta prelevando, in base ai calcoli di Mornigstar, un miliardo al mese.
Così, quello che nei primi mesi del 2023 sembrava un fenomeno carsico e contenibile sta invece diventando qualcosa di più strutturale, evidenziato dall’erosione di oltre il 10% subita nell’ultimo anno dal loro patrimonio. I riscatti sono il babau per ogni tipo di fondo, ma per quelli real estate lo sono ancor di più, poiché le richieste di rimborso si basano sulla pretesa di un rientro immediato dall’investimento che mal si concilia con la natura illiquida dei loro asset. Per un semplice motivo: un portafoglio costituito da immobili non può essere liquidato velocemente, se non accollandosi perdite ingenti. Questo è lo scenario più avverso che si materializza quando le riserve non possono coprire l’ondata degli «outflow», come è capitato in Inghilterra ai tempi della Brexit e del Covid.
Un’alternativa è limitare le richieste di prelievo fuori misura (come ha fatto negli Usa il Blackstone Real Estate Income Trust), oppure seguire il modello tedesco che impone ai sottoscrittori un preavviso di un anno prima di poter ritirare i quattrini investiti. Ma, prima o poi, il rimborso va fatto. In genere, nell’industria dei fondi comuni i disinvestimenti sono legati a rendimenti poco allettanti (magari abbinati a commissioni onerose); in quella dei fondi immobiliari il vento si è fatto contrario a causa del crollo della domanda di edifici a uso commerciale dopo lo sdoganamento del lavoro da remoto imposto dal Covid. Se la pandemia aveva desertificato gli spazi adibiti a ufficio, una volta finita l’emergenza l’occupazione di queste aree non è più tornata ai livelli precedenti il 2020. Col risultato di far crollare il valore degli immobili. Soprattutto negli Stati Uniti, dove parecchi gruppi impegnati nel mattone sono stati costretti a svendere alcune delle «tower» più prestigiose di New York, Atlanta, Los Angeles e Chicago perché strozzati anche dai ripetuti rialzi dei tassi decisi dalla Fed. Ora, lo stesso fenomeno rischia di essere replicato in Europa.
Non senza qualche preoccupazione da parte della Bce.Che ha già detto di considerare i fondi immobiliari, il cui peso è del 40% nel mercato commercial real estate dell’eurozona, una minaccia alla stabilità finanziaria.
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