Nucleare per la transizione? I rischi dopo il golpe in Niger

Il golpe in Niger mette a rischio le forniture di uranio in Europa: vediamo le ricadute per le politiche di transizione energetica

Nucleare per la transizione? I rischi dopo il golpe in Niger
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Il golpe in Niger dello scorso 26 luglio è stato un evento che non ha solo cambiato attivamente il mondo della geopolitica africana ma rischia anche di essere un fattore condizionante delle politiche europee per la transizione energetica. Questo per un motivo legato alla ricchezza di uranio del Niger, che ne fanno uno dei maggiori produttori mondiali con il 4% della produzione complessiva concentrata sul suo territorio. Soprattutto, le attività estrattive legate al sito di Imouraen, ricco di circa 200 milioni di tonnellate di riserve stimate, sono considerate fondamentali per l'approvvigionamento dell'Unione Europea e in particolar modo della sua principale potenza nucleare, la Francia.

In un contesto che vede l'Europa inserire anche determinate forme di nucleare ad alta intensità tecnologica e di nuova generazione nella Tassonomia di fonti legate alle politiche di transizione energetica per la decarbonizzazione, questo può creare problemi strutturali. Un quarto dell'uranio europeo, il 24,96% per la precisione, utilizzato nelle centrali nucleari proviene dal Niger oggi in mano ai golpisti che hanno fermato i contratti privilegiati di fornitura a Paesi come la Francia. Dunque oggi le fonti più strutturate di uranio all'Europa sono diventate Russia e Kazakistan, che forniscono complessivamente il 43% del combustibile per l'energia nucleare europea. E la situazione geopolitica odierna mostra come, chiaramente, contare su Mosca e un Paese vicino ad essa come il Kazakistan per un settore tanto chiave sia a dir poco rischioso.

L'uranio sta conoscendo un volo nei prezzi da inizio anno proprio per il combinato disposto tra un mercato fragile e la spada di Damocle delle tensioni geopolitiche tra gli attori principali. Il prezzo, storicamente stabile, è salito da 48 dollari di fine dicembre agli attuali 58 per libbra, un aumento del 17,25% che rappresenta un'anomalia in un mercato in passato molto rigido. E la componente di costo del materiale fissile è quella che può fare la differenza nella convenienza dell'energia nucleare.

Molti analisti già prima del golpe in Niger ritenevano questo boom di prezzo non destinato a esaurirsi in breve tempo. Lo ha scritto a inizio luglio il sito di analisi finanziarie Sprott: "Il ruolo essenziale dell'uranio e dell'energia nucleare nel promuovere la sicurezza energetica globale continua a diventare sempre più importante. L'invasione russa dell'Ucraina ha scatenato una crisi energetica globale che ha costretto molti Paesi a reimmaginare le loro catene di approvvigionamento energetico. C'è stato un numero senza precedenti di annunci per il riavvio delle centrali nucleari, estensioni della vita e nuove costruzioni che probabilmente creeranno una domanda incrementale di uranio". La contrazione dell'offerta può creare un collo di bottiglia qualora venisse confermato lo stop dell'esportazione nigeriana in Europa o addirittura l'ingresso di attori come Russia e Cina nel mercato di Niamey. Destinato a ripercuotersi sull'Unione Europea.

"Se il Niger cadesse nell'orbita russa, il mondo dipenderebbe ancora di più da Mosca per l'energia atomica. Le bandiere russe che si sono viste per strada a Niamey rappresentano i primi timori a riguardo", ha scritto l'analista di eToro Gabriel Debach in un report sul mercato dell'uranio. In quest'ottica i Paesi dell'Unione Europea che vogliono rilanciare l'energia nucleare devono saper gestire al meglio i colli di bottiglia potenziali del mercato e vagliare, dall'Australia allo stesso Kazakistan, fornitori potenziali alternativi.

In un contesto che, per dipendenza, vede l'uranio russo ancora esente dalle sanzioni, quest'ultimo appare come l'ultima risorsa a cui attingere per evitare un sostanziale testacoda nella strategia di contenimento di Mosca da parte dell'Occidente. Dilemmi, questi, che riguardano in potenza anche l'Italia che studia il ritorno al nucleare. E fanno del governo della crisi nigerina e delle conseguenze per l'uranio una sfida chiave per l'intera Europa.

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