Quel trilione "scomparso" che può essere usato per colpire l'Occidente

Il trilione di dollari di surplus delle autocrazie può aiutarle a sfidare l'Occidente. Occhio a Cina, Russia, Arabia Saudita: ecco come si muovono i flussi finanziari

Quel trilione "scomparso" che può essere usato per colpire l'Occidente

400 miliardi di dollari la Cina, massima potenza esportatrice industriale globale, 250 la Russia che guadagna dal boom dei prezzi energetici nonostante le sanzioni; 200 l'Arabia Saudita con le maggiori risorse petrolifere mondiali; 150 i miliardi scomparsi dai T-Bond Usa: il "trilione scomparso" dalle autocrazie è il tesoretto che può rivolgersi verso l'Occidente in termini di spesa clientelare, investimenti, acquisizioni.

Un tempo i regimi autoritari non avevano altro desiderio se non riversare nei mercati occidentali i loro introiti da commercio o produzione. Le entrate del surplus commerciale cinese finivano in asset, infrastrutture, imprese e fondi; la Russia ha diversificato ovunque, dalle squadre di calcio al lusso, creando feudi come "Londongrad". L'Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo, come Qatar e Emirati Arabi Uniti, sono la patria dei celebri "petrodollari" riversatisi nella finanza e nel real estate. Oggi invece gli investitori notano che tra disinvestimenti, sanzioni (nel caso russo) e ricerche di altri mercati, complice la fine del periodo occidentale di vacche grasse, l'ammontare di risorse dirottato da questi mercati è inferiore di un trilione di dollari rispetto alle aspettative.

Repubblica ha analizzato questo tema ricordando che le autocrazie sono in surplus, le democrazie in deficit commerciale. E questo si riflette sulla bilancia dei pagamenti, caduta in rosso perfino per la virtuosa Germania: "Gli ultimi sommovimenti dell'economia mondiale e, in particolare, il boom dei prezzi dei beni energetici hanno aperto buchi nella bilancia dei pagamenti non solo di paesi cronicamente in deficit nei conti esteri, come gli Stati Uniti, ma anche in Gran Bretagna e - novità - anche in chi, normalmente, è in condizioni di surplus, come l'Unione europea e il Giappone". Questo modifica notevolmente l'indirizzo degli investimenti diretti esteri.

Xi Jinping può permettersi di siglare in Arabia Saudita accordi miliardari; la Russia elude le sanzioni difendendo il cambio sul rublo; l'Arabia Saudita investe in Saudi Vision 2030 e progetta nuove strategie costose. L'Europa e gli Usa invece si litigano quote di mercato, innovazione, talenti. E non riescono a controbattere con piani e strategie come il Global Gateway a progetti quali la Belt and Road Initiative.

L'Occidente globale è in deficit e il pallino del gioco della partita della gestione del debito mondiale, anche per colpa dell'inflazione, non è più in mano sua. Le altre nazioni dirottano altrove i propri investimenti: il reshoring e la deglobalizzazione orientano anche le mosse delle autocrazie che hanno partecipato alla grande festa dei mercati globali finché è stato loro possibile.

Ora invece i loro fondi "potrebbero servire a rinsaldare influenze politiche. A puntellare il regime di Erdogan nella Turchia sommersa da una inflazione non lontana dalla tre cifre, nel caso della Russia. A sostenere il traballante Egitto di Al Sisi, per i paesi arabi. O il Pakistan in ginocchio, per la Cina": una vera e propria finanza "autoritaria" parallela capace di sfidare in termini di potere e attrattiva quella occidentale basata sul Fondo monetario internazionale.

Non sono blocchi fissi ovviamente, ma l'Occidente è economicamente sotto assedio. Fiaccato dalla Grande recessione, dal Covid, dalla crisi energetica e dal ritorno dell'inflazione il suo modello non è più l'epicentro globale degli investimenti. La lunga fase di vacche grasse finanziarie ha coperto il problema degli investimenti in conto capitale, della corsa del resto del mondo all'innovazione, della dipendenza energetica da Russia e Medio Oriente, della difficoltà nella proiezione fuori dal blocco coincidente col G7.

Il "trilione scomparso" si è diretto altrove, cercando obiettivi politici: il potenziamento dell'influenza e la ripresa dell'espansione commerciale (Cina), la difesa dalle sanzioni e la costruzione di hub energetici non occidentali (Russia), il riarmo e la proiezione geopolitica regionale (Arabia Saudita). Tre strategie con un unico comune denominatore: portare le risorse lontane da un Occidente che tra reshoring e crisi è in difficoltà.

Parliamo di una minaccia che sottende un'opportunità: vincolare con maggior forza democrazia e mercati rinnovati e più sicuri anche politicamente dalle proiezioni straniere.

Un'opportunità che, scrutinando investimenti e promuovendo il friend-shoring nei settori chiave (dalla transizione ai chip) l'Europa e gli Usa possono sviluppare, a patto di cooperare. E pare proprio questo, alla luce degli ultimi sviluppi, lo step più grande da superare per contrapporre un fronte unito alla frastagliata avanzata finanziaria delle autocrazie.

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