Il bosco magico creato da Mario Ceroli in mostra a Palazzo Citterio

Esposte dieci opere inedite dell'artista ottantaseienne, uno dei protagonisti dell'Arte povera in Italia

Il bosco magico creato da Mario Ceroli in mostra a Palazzo Citterio
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In attesa che la Grande Brera entri nel cuore dei milanesi e nella mente dei turisti (ma perché ciò avvenga sarà opportuno estendere i ristrettissimi orari di apertura) il redivivo Palazzo Citterio merita una prima visita (chi l'ha fatta alzi la mano...) non solo per valutare l'allestimento dell'architetto Mario Cucinella di quelle collezioni permanenti che includono le opere delle famiglie Jesi e Vitali; ma anche per immaginare la futura rotazione di mostre in dialogo con gli spazi e le raccolte. Un'occasione c'è già ed è offerta dal progetto site specific dello scultore Mario Ceroli, ovvero dieci opere inedite realizzate dall'ottantaseienne artista marchigiano, un pezzo di storia dell'arte del Dopoguerra, nella fattispecie uno dei protagonisti della cosiddetta stagione pop italiana, ma che seppe dire la sua anche tra gli artefici dell'Arte Povera di Germano Celant. L'esposizione dal titolo «Mario Ceroli. La forza di sognare ancora», supportata da Banca Ifis e a cura di Cesare Biasini Selvaggi, comprende lavori in linea con la cifra dell'artista scenografo famoso per le sue sagome seriali in legno intagliato quasi sempre prive dell'elemento cromatico. Nella sala Stirling di Palazzo Citterio, Ceroli invade lo spazio con una foresta di tronchi di legno, che ricordano i basamenti che sorreggono Venezia alla città che ha accolto lo scultore nel 1966, in occasione della Biennale Arte, determinandone la precoce affermazione sulla scena internazionale.

Tra queste opere, pensate per dialogare con lo spazio ipogeo progettato da James Stirling negli anni Ottanta, spiccano «La mia vita» (2024), una sequenza aritmica di 28 elementi in legno, evocazione del fluire del tempo e della memoria; «Mare Nostrum» (2024) e «La barca di Caronte» (2023), opere che intrecciano riferimenti mitologici e temi ecologici, in un dialogo tra classicità mediterranea e contemporaneità; Venezia (2024), un'installazione di 62 tronchi di pino, omaggio alla città lagunare e alla sua straordinaria ingegneria artigiana; «Non roviniamo la Terra» (2024), un invito a riflettere sulla fragilità del pianeta, con materiali che evocano le trasformazioni della natura.

Questa sorta di «Teatro delle Mostre» rappresenta un piccolo ma importante segnale di interazione tra patrimonio presente e patrimonio passato, offrendo nuove prospettive per la fruizione di un grande museo che in questi anni si è scrollato di dosso molta polvere grazie ad una illuminata gestione. Al contempo consente una rilettura di un artista mai adeguatamente compreso ma i cui temi di un «Nuovo umanesimo planetario», un nuovo «Classicismo mediterraneo» appaiono più che mai contemporanei.

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