Bossi: "Ora tutti a casa" Il premier: "Decisione insieme ai nostri alleati"

Dibattito politico sulla missione in Afghanistan. Il leader della Lega spinge per un ritiro immediato. Il premier: "Nessun paese da solo può decidere"

Bossi: "Ora tutti a casa" 
Il premier: "Decisione 
insieme ai nostri alleati"

Bruxelles - «Adesso è il momento dell’unità, poi ragioneremo su tempi e modi per ridurre la nostra presenza in Afghanistan». Quando da Roma arrivano le dichiarazioni di Umberto Bossi che considera «esaurita» la missione in Afghanistan, Silvio Berlusconi è appena atterrato a Bruxelles per partecipare a un vertice informale dei capi di Stato e di governo dell’Ue. In agenda ci sono decisioni importanti, prima fra tutte la posizione comune dell’Europa in vista del G20 di Pittsburgh che la prossima settimana dovrebbe riscrivere le regole dell’economia mondiale.

La giornata del Cavaliere, però, è bruscamente virata sul capitolo Afghanistan dal momento esatto in cui Gianni Letta alle dieci di mattina gli dà notizia dell’attentato kamikaze a Kabul. E così, appena arrivato in Belgio, è quello l’argomento delle ripetute conversazioni telefoniche del premier: con Letta (che nel corso della giornata tiene i contatti con l’opposizione), con il ministro della Difesa Ignazio La Russa e con lo stesso Bossi. Ed è proprio al Senatùr che il Cavaliere rivolge l’invito all’unità.

Le parole del leader della Lega, infatti, rimbalzano dall’Italia fino a Bruxelles portandosi dietro l’eco delle prime polemiche. L’unica cosa - ragiona Berlusconi prima di arrivare a Justus Lipsius, sede del Consiglio europeo - di cui certo non si sente il bisogno. Anche perché da Monfalcone, pochi chilometri da Gorizia, Bossi si spinge fino ad augurarsi che i militari italiani possano «tornare tutti a casa per Natale». «C’è qualcuno - spiega - che dice che significa darla vinta al terrorismo e forse in parte è vero. Ma portare a casa di altri la democrazia è difficilissimo».

Un problema di cui il Cavaliere è ben cosciente, anche se è chiaro che una qualsiasi «exit strategy» non può che essere condivisa e concordata con gli alleati. Sul punto, infatti, Berlusconi è netto: «Dopo tanti sacrifici, anche in termini di vite umane, non possiamo certo abbandonare l’impresa. Anche se siamo tutti speranzosi di poter portare a casa i nostri ragazzi al più presto. Ma per ora non c’è nessuna idea. È un problema internazionale e nessun Paese da solo può decidere perché si tradirebbe la fiducia dei partner». D’altra parte, già al G8 dell’Aquila il premier aveva affrontato con Barack Obama il problema della «cospicua presenza» italiana in Afghanistan. Perché, dice, «siamo tutti convinti che il meglio per tutti quanti sia di uscirne presto».

La questione, dunque, è in qualche modo all’ordine del giorno anche se è chiaro che in situazioni delicate come queste i processi decisionali sono lunghi è complessi. È questo che sembra volere intendere Berlusconi quando i cronisti gli chiedono cosa ne pensi delle parole di Bossi. «Stiamo preparando un piano - spiega - che può essere tanto più veloce quanto più efficace sarà l’addestramento che saremo riusciti a dare alle forze dell’ordine afghane». «Avevamo già previsto una forte riduzione e quindi procederemo in questa direzione», aggiunge il premier spiegando che «almeno i 500 uomini» inviati per supervisionare sulle elezioni «potremo cominciare a riportarli a casa».

D’altra parte, è il ragionamento del Cavaliere, la strategia militare è solo un mezzo che ha come fine la ricostruzione. Inoltre, ai piani alti della Farnesina è da tempo che c’è preoccupazione per i tanti «warning» che arrivano dall’Afghanistan, soprattutto per la situazione nelle zone presidiate dagli italiani. Tra i diplomatici, insomma, non è affatto una novità la convinzione che a Kabul sia necessario un cambio di passo. O quantomeno di strategia.
Per il presidente del Consiglio, dunque, «una giornata dolorosa» che «purtroppo ci riporta alla situazione difficile di questo Paese dove abbiamo dato e diamo tanto in termini di sacrifici umani per mantenere e far crescere una democrazia essenziale per la pace non solo in quella regione ma anche nel resto del mondo dove è importante evitare infiltrazioni terroristiche». Argomento di cui con ogni probabilità avrà parlato durante la lunga telefonata con Benjamin Netanyahu, primo ministro d’Israele.

Nei due colloqui con il capo di Stato maggiore della Difesa, il generale Camporini, e con il comandante del nostro contingente a Kabul, il generale Castellano, Berlusconi esprime il suo «profondo cordoglio personale» e la vicinanza alle famiglie delle

vittime: «Condivido il loro dolore in questo tragico momento». Al premier, invece, arriva la solidarietà dei primi ministri europei che al suo arrivo gli si avvicinano e uno a uno gli stringono la mano in segno di vicinanza.

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