«Purtroppo iniziano ad affidarmi ruoli da quarantenne. Brutto segno». Lo dice con il sorriso sulla bocca e senza prendersi troppo sul serio, Raoul Bova. Già perché sarà pure un brutto segno ma difficilmente l'attore di origine calabrese, che di anni ne ha 36, compiuti qualche giorno fa, sprofonderà nella crisi degli anta.
Su se stesso ha lavorato molto, Raoul, che attualmente si trova sul set di Scusa ma ti chiamo amore, tratto dallomonimo libro di Federico Moccia, nel quale interpreta proprio un pubblicitario di 38 anni, che si innamora di una diciassettenne. Bova, infatti, ha sempre dichiarato di non puntare sul ruolo di sex symbol, ha ripetuto più volte che la bellezza non conta «perché già ora è cosi ma tra qualche anno ci sarà di sicuro qualcuno più bello di me» e caratterialmente è maturato tanto dai tempi in cui, riposta la cuffia da nuotatore della nazionale in un cassetto, esordi in un film tv sulla storia dei fratelli Abbagnale. Insomma non più timido e impacciato, determinato e convinto dei propri mezzi, Bova sa esattamente cosa vuole e si divide tra gli Stati Uniti e lItalia. Guarda ad Hollywood ma non dimentica il nostro cinema.
In Scusa ma ti chiamo amore, esordio alla regia di Federico Moccia, l'autore di Tre metri sopra il cielo, torna alla commedia che l'aveva fatta conoscere una quindicina d'anni fa. E già si sprecano i paragoni con Riccardo Scamarcio, che Tre metri sopra il cielo l'aveva interpretato.
«Se ne sono dette tante, in queste settimane. Vorrei precisare, una volta per tutte: uno, non amo mettermi in competizione con i colleghi, due Scamarcio è di unaltra generazione, tre non è detto che se uno interpreta una commedia debba paragonarsi per forza con qualcun altro. La prendo a ridere ma vorrei che questa storia finisse».
Le è mai capitato di invaghirsi di una teenager, che nel film è interpretata dall'esordiente Michela Quattrociocche?
«Mai dire mai, ma sono un felice padre di famiglia e Chiara Giordano, la mia compagna, è il mio indiscutibile punto di riferimento. Se da molto tempo vivo una fase serena della mia vita lo devo a lei che mi segue e mi consiglia su ogni aspetto del mio lavoro».
Cosa farà da «grande», vivrà in Italia o negli Stati Uniti?
«Dipende dalle proposte. Due anni fa mi ero trasferito per nove mesi negli Stati Uniti, per interpretare una serie televisiva della Abc, What about Brian. Ho preso in affitto un appartamento in Muholland drive, ho seguito corsi di recitazione. Ma l'Italia mi mancava molto. Per cui non andrò più all'avventura come in passato. Se ho progetti certi parto, altrimenti resto a casa. Ma continuo a crederci, nel sogno americano. Per cancellare il mio accento italiano, ad esempio, mi affido ad un coach che pago 500 euro l'ora».
E poi l'ambiente di Hollywood non è dei più facili per un italiano.
«Vero. Lì sei uno dei tanti, non puoi imporre il tuo modo d'essere. E poi io non amo gettarmi nelle pubbliche relazioni, indispensabili per avere successo ad Hollywood. Sono schivo per natura e con la scusa dei figli che non posso lasciare soli a casa, rinuncio spesso ai party ai quali vengo invitato».
I figli li porta sempre con sé nei soggiorni americani?
«Per i lunghi periodi sì, altrimenti restano a casa con i nonni».
E con la loro scuola come fa?
«Quando sono in Italia frequentano una scuola americana quando sono lì ne frequentano un'altra statunitense. Ho fatto in modo che i responsabili dei due istituti dialogassero tra di loro, per far sì che l'integrazione dei miei figli fosse morbida e indolore».
Complimenti per l'organizzazione. Le piacerebbe diventare regista?
«No, non fa per me. Punto invece sulla produzione. Una scelta della quale sono molto soddisfatto: prima aspettavo un produttore, adesso mi alzo dalla sedia e agisco in prima persona. Il mio prossimo progetto in collaborazione con il cinema indipendente americano riguarda la vicenda dellitaloamericano Derek Rocco Barnabei, uno dei casi d'ingiustizia più clamorosi della storia recente. Venne accusato d'omicidio ma nonostante si fosse proclamato innocente e ci fossero prove che lo scagionavano fu condannato a morte e giustiziato con un'iniezione letale nel 2000. Una storia che ho seguito in prima persona mettendomi in contatto con i genitori del ragazzo.
Senza un po tregua.
«Sì. E meno male che amo tantissimo il mio lavoro».
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