Rolly Marchi
Ho avuto potenti calamite per affezionarmi a diverse montagne. Il papà trentino per il Campanile Basso e la Marmolada. Il generoso Gigi Panei per il Monte Bianco e il Cervino. È bastato un libro di Malcom Lowry per farmi salire sul gigante messicano Popocatepetl. E tante altre. Ma nessuna calamita pur potente mi aveva mai trascinato sul Rosa. Un monte immenso e bellissimo che continuo ad ammirare anche adesso dalla pianura lombarda quando vado a Sumirago, nel Varesotto, a trovare un caro amico. Il mio rapporto più antico con questa grande montagna ha lallegria di Topolino perché i bambini di Macugnaga - vedetta della più imponente parete del Monte Rosa - vennero al famoso Trofeo nel 1964 e la più brava, Beba Schranz, mi è adesso diligente spalla sulla fascinosa pista della rivista Buona Neve. Poi venne il Trofeo Mezzalama, mitico sci della fatica. Quel giorno di bufera salii in alta quota per incitare il compaesano Luigino Weiss, che risultò fra i vincitori. Festeggiammo a Teroldego, cantammo la Montanara e il Rosa cominciò a farsi largo nel mio sangue. Fermento che si rinvigorì quando il giovanissimo Leonardo David di Gressoney vinse lo Slalomissimo, e si guadagnò il biglietto di spettatore ai Giochi Olimpici estivi di Monaco 1972. Fu da Alagna, una delle tante porte di accesso al Rosa, che raggiunsi le nevi del ghiacciaio Indren per sciare in autunno assieme ad Erwin Stricker, Claudia Giordani, Piero Gros, i cugini Thoeni e gli altri bolidi della Valanga Azzurra. Era novembre, il cielo di cobalto, faceva caldo, sciammo addirittura in canottiera. Ma lapogeo spirituale è un altro. Ero già salito sul Bianco e il Cervino, per fare terno ci voleva il Rosa. A Champoluc cerano due ragazzini sciatori di talento, Rosaria Frachey e Tiziano Bieller, tredicenni. Venivano ogni inverno al Topolino e mi rimproveravano di non andare mai a trovarli al loro incantevole paesino.
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