Bunin nel villaggio Russia non volle servire il popolo

L'autobiografico "La vita di Arsen'ev" racconta gli anni che precedono l'ascesa dei bolscevichi

Bunin nel villaggio Russia non volle servire il popolo

Confinato, di volta in volta, nelle due più umilianti categorie letterarie, cioè «i maggiori fra i minori» o «i minori fra i maggiori», Ivan Alekseevic Bunin (Vorone, 22 ottobre 1870 - Parigi, 8 novembre 1953), se fosse ancora vivo non ne soffrirebbe. Lui non badava ai canoni elaborati e imposti dai critici, bensì, in fondo, soltanto a se stesso, all'«io». Però non all'«io» dell'autobiografismo ombelicale che tutto misura e valuta con gli strumenti patologici dell'egotismo, quanto piuttosto all'«io» che reca il sigillo della testimonianza. Che si trattasse di quest'ultimo «io», e non dell'altro, lo ricaviamo anche dalle sue parole su Cechov, di gran lunga il suo preferito, persino più delle brucianti passioni giovanili (e comunque persistenti) Pukin e Lermontov. Scrive Bunin nel saggio-ricordo A proposito di Cechov, suo ultimo e incompiuto lavoro che lo impegnò fino a poco prima della morte: «Nelle sue opere non parlava quasi mai di sé, dei propri gusti, delle proprie idee... Anche nella vita quotidiana si curava poco, se non affatto, del proprio io». E lo afferma ricordando le parole dell'amico e maestro: «Bisogna mettersi a scrivere solo quando ci si sente freddi come il ghiaccio».

Ecco, l'opera di Bunin, il quale iniziò come poeta per poi passare alla narrativa (e Nina Berberova ricorda, in Il corsivo è mio, ciò che le disse un giorno a Parigi: «Se volessi, potrei riscrivere qualsiasi mio racconto in versi»), è qualcosa di molto difficile da realizzare, quasi un ossimoro: poesia fredda. Lo è nei numerosi racconti d'amore, dove le parole sul sesso superano i limiti a quel tempo consentiti. E a maggior ragione lo è nel romanzo Il villaggio, del 1910, e in La vita di Arsen'ev (ora proposto dalle Edizioni Medhelan, pagg. 330, euro 26, traduzione di Ettore Lo Gatto). Che non è un romanzo, secondo il poeta e critico letterario Chodasevic, marito di Nina Berberova, bensì l'«autobiografia di una persona immaginaria», e che a Bunin, nell'anno dell'uscita del secondo tomo, il 1933, fruttò il premio Nobel.

I due libri sono strettamente legati fra loro. Nel Villaggio, ambientato nella Russia meridionale, si rievoca l'atmosfera della rivoluzione del 1905, che l'autore visse a Jalta, attraverso le figure di due fratelli di uguale estrazione (sono figli di un bottegaio e discendenti da servi della gleba) ma di opposte visioni. Tikhon, rude e incattivito dall'impossibilità di avere figli, è un commerciante che ha fatto fortuna e fatica a mandare avanti le sue tenute; Kuzma, bevitore e sognatore con velleità letterarie, chiamato a dare una mano al fratello, è il classico buono che ama i deboli («io sono, sappilo, un anarchico», dice a Tikhon). Pensa Tikhon: «I mugik erano ridotti all'estrema indigenza, non c'era neppure un ravanello in quelle catapecchie della malora sparpagliate per la campagna... Occorreva proprio un padrone, un padrone!» (cioè lui stesso). E, al contrario, gli urla in faccia Kuzma: «non lusingatevi nell'orgoglio di essere russi! Noi siamo un popolo selvaggio, senza carattere Né cari a Dio, né al fuoco del diavolo. D'altra parte, riparleremo di queste cose in avvenire» (e il non lontano avvenire, come sappiamo, sarebbe stata la Rivoluzione d'Ottobre). È il burbero amico anziano di Kuzma, Balasckin, a spronarlo e insieme a metterlo in guardia, oltre che a dare il senso del romanzo: «Ma la Russia, tutta la Russia, non è che un villaggio, ficcatelo bene nella zucca!».

La vita di Arsen'ev, di oltre vent'anni posteriore, quindi scritto interamente all'estero, in Francia, fra Parigi e Grasse, dopo che l'autore aveva lasciato la Russia a seguito della sconfitta dell'Armata Bianca, ha alle spalle l'ascesa dei bolscevichi, ma risale indietro nel tempo, all'infanzia, fanciullezza e gioventù del protagonista-alter ego che, cinquantenne, le ricorda (per inciso, molti russi chiamano Proust «il Bunin francese», non viceversa...). Il quale come Bunin ha un padre scialacquatore e dedito al bere, e come Bunin ha un fratello arrestato per motivi politici e condannato al soggiorno obbligato. «Il libro è una sinfonia di percezioni che procede maestosa, larga e interminabile come la terra che il suo protagonista attraversa», scrive Andrea Tarabbia nella «Prefazione». È così, e all'orizzontalità del paesaggio, al piattume, spesso anche morale, della caotica e atavica «Russia distrettuale», fa da contraltare la verticalità della rivolta, del dissenso a posteriori di Aleksej Arsen'ev: «a ogni istante sentivo quei discorsi di falsa umiltà: - noi, si sa, siamo gente oscura, da noi lo stesso imperatore Alessandro porta gli stivali unti di grasso - e adesso non dubito che essi erano assai caratteristici non solo per la nostra città, ma in generale anche per i sentimenti russi di allora».

Vediamo il piccolo Aleksej entusiasmarsi per Don Chisciotte, l'Odissea e Robinson Crusoe; lo ascoltiamo quando ricorda con commozione la prima volta in cui sentì l'odore del lucido da scarpe (la sua madeleine, si potrebbe dire); ci sorprende con le parole a margine della morte dalla sorellina Nadja: «Una notte più magica di quella non c'è più stata in tutta la mia vita»; seguiamo i resoconti dei suoi quattro anni di ginnasio; condividiamo il suo entusiasmo quando scopre di abitare non molto distante da Tolstoj («Come è strano, sono un contemporaneo e persino un suo vicino. È lo stesso come vivere nella stessa epoca e accanto a Pukin. È pur tutto suo - e questi Rostov, e Pierre, e il campo di Austerlitz, e il morente principe Andrej»). Ma le sue parole che restano, come incise nella pietra, sono queste: «Ma io nessun dovere dinanzi al popolo ho mai sentito, né sento.

Non posso, né voglio sacrificarmi per il popolo, né servirlo, né fare, come dice mio padre, il gioco dei partiti e dei problemi alle sedute del consiglio provinciale... No, bisogna prendere una buona volta una decisione!».

Quando venne il momento, Ivan Alekseevic Bunin la prese, andando a Odessa, dove sostenne l'Armata Bianca.

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