Buona la prima: l'Olimpico promuove a pieni voti il nuovo tour di Ligabue

Centodieci mila persone in due giorni per celebrare l'artista di Correggio che ha iniziato dalla capitale la sua tournèe estiva. Commozione sulle note di «Buonanotte all'Italia» e «Il peso della valigia»

I meno distratti dall'energia sprigionata per tutta la serata dell'Olimpico forse ci avranno fatto caso e avranno sorriso dell'ironia (tutt'altro che sottile) con cui è stato scelto il pezzo di chiusura della prima e trionfale tappa estiva del nuovo tour di Luciano Ligabue. Cantare «Il meglio deve ancora venire» poco prima che si svuotino spalti e prato dello stadio romano è un gesto allegramente provocatorio. Che in qualche modo spiazza anche i fan più rodati, dal momento che tutti i 57mila spettatori avevano appena finito di commuoversi per le immagini che scorrevano sulle note di «Buonanotte all'Italia», una delle poche ballate in un trionfo di rock e di energia allo stato puro.
Un concerto classico ma entusiasmante. Per niente autocelebrativo. Con un Ligabue molto concentrato e la cui profondità di sguardo fa da controcanto al vigore dei suoi musicisti. Nella notte del debutto romano (è la prima volta che l'artista di Correggio sceglie la capitale come «piazza» d'apertura di un tour) il vero protagonista è la sintesi. Una miscela precisa in cui la genuinità di una vena musicale tutt'altro che sfibrata si affianca alla suggestione delle immagini rimandate dai tre maxischermi alle spalle del palco. Una sintesi suggestiva, a tratti anche commovente (come quando il Liga canta sulla pedana rialzata «Il peso della valigia»), di sicuro molto coinvolgente dove si alternano con calibrata perizia gioie e dolori, frenesia e riflessione. Con un tocco di umorismo tutt'altro che involontario. È il caso dell'incipit: lo scanzonato «Taca banda» diventa un simil-rap per il produttore del Liga, Claudio Maioli. Un modo per sorridere e per fare auto-ironia. Il pubblico apprezza e quindi ecco la «tripletta» nuova di zecca. Sotto il palco urlano senza tentennamenti sulle note di «Quando canterai la tua canzone», «La linea sottile» e «Nel tempo». Quella che non voleva essere una messa cantata - almeno nelle intenzioni di Ligabue - diventa la celebrazione collettiva di una star non ritrova bensì mai persa. Ecco perché quasi non c'è differenza da come il pubblico accoglie le canzoni di «Arrivederci, mostro!» con sempreverdi come «Balliamo sul mondo» (in versione estremamente psichedelica) e «Bambina e barracuda». I momenti di maggiore comunione col pubblico trovano il Liga «isolato» in mezzo alla folla in delirio. Lassù sulla pedana rialzata regala una versione acustica di «Ho perso le parole» nella quale la sua chitarra accompagna la voce dello stadio.
Non è però una messa cantata (lo abbiamo già detto). E la cifra di questo spettacolo è forse nella voglia di Ligabue di instillare dubbi e curiosità soprattutto fra i più giovani. Alcuni si danno di gomito perplessi quando sulle note di «La verità è una scelta» scorrono sui maxi schermi i volti di alcune delle personalità più eclettiche del nostro recente passato. Alcuni avranno avuto gioco facile a riconoscere un giovane De André che si interroga sul ruolo dell'artista. Altri avranno ammiccato sul volto squadrato di Pasolini. Quel signore stempiato che sentenzia «Ogni generazione deve fare i suoi errori» pochi, però, lo riconoscono. È Italo Calvino.
Forse i cinquant'anni appena compiuti (con tanto di outing nel salotto televisivo di Fazio: «Mi tingo i capelli») spingono il Liga a virate più malinconiche e riflessive, mai nostalgiche però. In fondo è partecipazione alla vita quella che chiede l'artista. Fino al punto di imbracciare una macchina fotografica digitale e riprodurre - con un semplice clic - i volti del pubblico sul grande schermo alle sue spalle. Ha appena finito di cantare «Questa è la mia vita», ma la canzone sembra di tutti. Come di tutti è l'acqua.

E questo tour vuole anche lanciare un messaggio «politico» contro la privatizzazione dell'acqua e gli slogan scorrono sullo schermo quando il Liga canta «A che ora è la fine del mondo?» Facile, forse. Ma di sicuro effetto.

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