Butcovan, poeta con la leghista nel cuore

«Questa città mi piace, ma non è facile per gli immigrati. Noi vogliamo integrarci»

Nel libro ce n’è per tutti, romeni e italiani: il muratore della Bassa, baffi biondi e capelli lunghi per compensare la pelata, accompagnato da una bella transilvana un po’ volgare. Lui e i suoi amici «di laur», adorano il Paese di Dracula («l’è luntan?»), dove «le belle gnocche sono ovunque e poi basta che ti le paghi l’ingresso in discoteca e l’è il feston». Mihai Mircea Butcovan, scrittore e poeta romeno, dopo una vita rocambolesca in cui ne ha viste di tutti i colori - a partire dalla fine ingloriosa di Ceausescu - nel 1991 è approdato in Italia. Nel suo ultimo libro «Allunaggio di un immigrato innamorato», descrive vizi e virtù di italiani e romeni. Armato di penna al cianuro, riporta scenette quotidiane come quella di un colloquio di lavoro, degna del miglior teatro dell’assurdo. Immaginate gli imbarazzi di un extracomunitario laureato e poliglotta ma senza una lira in tasca, costretto a misurarsi con un datore di lavoro benestante, terza media in dubbio, italiano si fa per dire. Ma la vera chicca è la storia (vera) del protagonista, che dalla Romania emigra a Milano, dove s’innamora della bella Daisy, leghista militante nonché figlia devota di una ricca famiglia brianzola. La love story va a pallino. Deluso, dopo avere ricevuto da Daisy una missiva al vetriolo, Mihai le risponde con un racconto in forma di diario.
Milano le piace?
«Certo, anche se non è facile per un immigrato. Fin da piccolo ho vissuto nelle difficoltà e questo mi ha temprato. Mio padre, un ex-ufficiale della Marina romena, ha cresciuto da solo quattro figli. Mia madre è morta quando avevo otto anni. Dopo la maturità, nell’87 ho fatto la valigia di legno e sono partito per il militare, erano gli ultimi anni del regime di Ceausescu. Nel 1991 mi sono iscritto a Teologia e grazie a una borsa di studio sono venuto in Italia, a Monza, dove ho fatto il biennio presso l’Istituto Teologico».
Come si manteneva?
«Facevo di tutto, dal magazziniere allo scaricatore, ero avido di esperienze. Dopo la laurea sono diventato educatore professionale e mediatore culturale. Oggi mi occupo di formazione e orientamento nelle scuole superiori, opero nel campo delle tossicodipendenze e presto soccorso alle donne romene in difficoltà presso uno sportello del Comune».
Quando trova il tempo per scrivere?
«Scrivevo fin da bambino e studiavo sempre, anche di notte. Per stare sveglio immergevo i piedi nell’acqua gelata. I soldi che avevo li investivo in libri».
La pianura padana invasa da orde di romeni. Cosa ne pensa?
«Si dice che spesso un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce. In Italia c’è una foresta di romeni in crescita e in grado di dare ossigeno al Paese, molto più di quanto gliene tolgono respirando. Pensiamo alle badanti, agli infermieri o ai lavoratori agricoli. E poi ci sono le eccellenze di cui non si parla: medici, insegnanti, costretti a fare lavori al di sotto della loro professionalità. Noi romeni in Italia abbiamo delle responsabilità nei confronti dei nostri connazionali in patria. Non dobbiamo produrre illusioni che poi si traducono in drammatiche delusioni. Dobbiamo raccontare con onestà come stanno le cose.

Ritengo infine che la proliferazione di associazioni romene in Italia la dica lunga sull’intenzione, anche a lunga scadenza, di integrarci».
E la storia con la bella leghista?
«È stata breve ma intensa. La potete leggere nel mio libro…».

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