Un calcio all'apartheid

Con Invictus Clint Eastwood ha celebrato il mito degli Springboks, la nazionale di rugby - un tempo orgoglio dei bianchi - che 15 anni fa vinse il mondiale. Ma il vero amore dei sudafricani è per i "Bafana-Bafana" del calcio

Un calcio all'apartheid

Con Invictus Clint Eastwood ha celebrato il mito degli Springboks, la nazionale sudafricana di rugby che quindici anni fa vinse il mondiale. Simbolo dell’identità nazionale dei bianchi afrikaner, grazie alla testardaggine e alla lungimiranza di Nelson Mandela riuscì a unificare un popolo attraverso il tifo. Una comunanza di sentimenti quasi inimmaginabile prima di allora. Resa possibile dalla simpatia per una palla ovale. In quella mitica nazionale di rugby giocava solo un uomo di colore, Chester Williams. Il capitano era François Pienaar: nel film è interpretato da Matt Damon. Quella inattesa vittoria non cambiò la storia ma aprì la strada al lento e assai complesso processo di formazione dell’identità nazionale sudafricana. Lo Stato cercò di imporre delle “quote” nel rugby professionistico, anche se la palla ovale era ed è rimasta a prevalenza bianca, sia pure con diversi atleti di colore che si distinguono al massimo livello. Il bis nella coppa del mondo è arrivato solo nel 2007, dopo che per 12 anni sono andati avanti le polemiche sulle percentuali minime di neri da schierare nella squadra.

L'amore per i Bafana-Bafana - In Sudafrica era ed è tuttora il calcio lo sport preferito dalla maggioranza. La nazionale nel 1996 è riuscita a imporsi nella Coppa d’Africa, con i “Bafana Bafana” (i nostri ragazzi, in lingua zulu) che hanno cancellato l’onta di alcune dolorose esclusioni dalle competizioni internazionali dovute all’apartheid. Ed è solo nel 1991 che è nata una federazione formata sia da bianchi che da neri, dopo decenni di esclusione decisi dalla Fifa. Dopo l’esordio in Sudamerica nel 1930 (Uruguay) la massima competizione calcistica mondiale sbarca finalmente in Africa, tra sogni e speranze di riscatto.

Un calcio all'apartheid - L’annuncio dell’assegnazione dei mondiali al Sudafrica arrivò il 15 maggio 2004. Sono passati sei anni e l’estrema punta del continente africano vuole dimostrare al mondo di essere diventata un paese normale. Con mille problemi ancora da risolvere, in primis la criminalità, l’aids, e le disuguaglianze ancora molto forti. “Emergenze” sicuramente più importanti del calcio.

Resta un punto fermo: la consapevolezza importante di aver inferto un portentoso calcio a un triste passato fatto di odio e divisioni razziali. Un passato che tutti si augurano che non torni. Grazie anche ai valori positivi “seminati” dallo sport.

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