Costi che superano di 180 milioni a stagione i ricavi, ricavi che non possono aumentare senza la costruzione di stadi di proprietà, ingaggi che pesano come macini sui bilanci dei club. Il calcio italiano è in rosso e si sapeva, che fosse sotto la tenda ossigeno lo si sospettava, ma che solo nelle ultime tre stagioni fosse andato sotto di un miliardo di euro è una bella botta. Tutte insieme, serie A, serie B e Lega pro. Ad evidenziarlo è il ReportCalcio 2011 realizzato da Arel, Pwc e dal centro studi della Figc, sotto la lente d'ingrandimento de Il Sole 24Ore.
Lo studio sottolinea come nel massimo campionato ormai da due stagioni i costi strutturali superino i ricavi di 180 milioni l'anno.
È inoltre i la linea dei ricavi, 2,5 miliardi, non può crescere ulteriormente senza la costruzione di stadi di proprietà. E tra i punti critici c'è anche il fatto che gli ingaggi dei calciatori pesano ancora per 1,5 miliardi di euro. Il costo del lavoro in serie A è il più alto fra le top league europee.
Ingaggi e ammortamenti assorbono il 72% del fatturato, al netto delle plusvalenze del calciomercato. Per quasi due terzi i ricavi arrivano poi dalle emittenti radiotelevisive. E anche qui c'è un segnale d'allarme perché altrove quasta teledipendenza del tifoso di calcio non è così presente. La Premier league, che pure ha molti club indebitati, su un fatturato di 2,4 miliardi di euro incassa solo il 50% dei diritti tv.
Il piano inclinato sul quale si muove il calcio italiano si traduce sul piano patrimoniale in una costante crescita dei debiti globali: in A sono saliti tra il 2008 e il 2010 da 1,9 a 2,3 miliardi, mentre in B sono passati da 367 a 358 milioni. Il patrimonio netto, di conseguenza, si è ridotto da 460 a 406 milioni. Solo nella stagione 2009-2010 la serie B ha generato una perdita d'esercizio di 83 milioni.
E non è tutto, siamo anche degli esagerati: il club va male? Benissimo, fondiamone un altro.
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