La rincorsa non c'era. Due passetti al massimo. Uno scarpino stava saldamente aggrappato al terreno, per assicurare saldezza. Facendo leva sulla gamba d'appoggio, l'altra aveva il compito di indirizzare il fendente, possibilmente leggendo in anticipo il movimento di ogni singolo muscolo del portiere, perché la forza impressa al pallone non poteva essere uguale a quella immagazzinata con una rincorsa. Ci voleva molto coraggio a calciare un rigore così. Da fermo. Il tempo verbale è volutamente declinato al passato. Non ancora remoto, d'accordo, ma sta di fatto che questa modalità di approccio al dischetto pare oggi decisamente in via d'estinzione.
Rimuginandoci sopra adesso - nella derelitta epoca del saltello, singolo o multiplo, prima della conclusione - in nove casi su dieci il primo nome che torna in mente è quello di Beppe Signori. Maglia biancoceleste numero 11 (per non voler tornare ai tempi foggiani, nè spaziare nella pur appagante parentesi felsinea), sguardo fisso sulla sfera, angolo già battezzato fatidicamente, mancino glaciale a chiudere la sequenza. Una sentenza da 56 centri in carriera, con 9 errori. Tre volte sovrano della classifica cannonieri in Serie A, Beppe gol l'ha spesso infarcita di conclusioni dagli undici metri, ravvicinate quel che si vuole, ma sempre da trasformare. E lui, con quel fendente che assomigliava ad un uncino, non si faceva pregare. "Io tiravo da fermo perché non serviva la potenza, ma la precisione", spiegherà interpellato in seguito. Aggiungendo un altro trucco del mestiere, poi spifferato pure a Neymar: guardare il ginocchio del portiere un attimo prima di calciare. "Quello più basso è quello della gamba che spinge, ti indica dove si butterà".
Prima di lui la tecnica l'aveva padroneggiata e sfoggiata Francesco Casarsa, centravanti di manovra friulano, finito a giocare dalla parte opposta dello stivale, a Bari. Nel '74 la Fiorentina lo prelevò e lui la conquistò restando quattro anni, prima di passare al Perugia. Anche in questo caso la tecnica era quella: un passo e via, senza paura.
In questo ristretto cortile di impavidi siede anche Demetrio Albertini, un altro specialista della soluzione da fermo, di quella botta secca che non lascia
spazio né interpretazione alcuna al portiere, ma che nemmeno consente a chi calcia di esitare per un attimo o di battezzare male la misura. Una storia in via d'estinzione, forse anche per questo così speciale da spolverare.
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