C’era un Principe sotto la Lanterna: Diego Milito al Genoa

Il centravanti argentino vestì due volte il rossoblu e sempre si trattò di una faccenda di passione pura, reti a bizzeffe e movenze regali

C’era un Principe sotto la Lanterna: Diego Milito al Genoa
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Trecento metri. Chissà quante volte l’avrà percorsa, quella striscia di terra che separa due modi di esistere così promiscui, eppure così distanti. Ad Avellaneda il calcio è riempitivo di vita. Il derby tra Racing e Indipendiente questione che anima afflati tribali. Lui sta decisamente dalla parte azul blanca, quella che veste il Racing. Dall’altro lato ci gioca semmai il fratello, ma ogni grado di parentela si vaporizza quando si tratta di fabbricare emozioni per tutta quella gente che sciama per vederti, mettendo in pausa le tristezze che certe volte assalgono. Infatti Diego Alberto Milito, perché è di lui che si parla, in un derby del 2003 quasi ci è venuto alle mani col fratello Gabi.

A venticinque anni è un puntero più che fermentato. Sembianze all’apparenza sottili, ma saldamente acuminate. Passo felpato, regale, che ti frega puntualmente. Pare sempre lento, compassato, poi ti manda fuori giri con quella maledetta – per gli altri – viraje, la sterzata che è insieme marchio di fabbrica e promulgazione di editto mortifero per le retroguardie avversarie. Una certa notte di Champions di tredici anni fa racconta accuratamente questa letale movenza. Eppoi al Racing ha fatto 34 gol dal ’99 al ‘2004. D’accordo, non un profluvio, ma le stimmate del cannoniere ci sono. Lui le abbina a quel volto affilato che ricorda così tanto Enzo Francescoli e che poi è il motivo per cui tutti lo chiamano El Principe.

Troppo luccicante, il calcio di Diego Alberto, per non entrare nelle retine della vecchia Europa. Quando scocca il gennaio del 2004 lo preleva il Genoa, ansioso di far trasmigrare quelle scorribande offensive sotto la Lanterna. È ancora serie B. Un primo fidanzamento che dura il tempo di un anno e mezzo e viene scandito da 33 gol. Quando perà la giustizia sportiva sancisce la retrocessione del Grifone in C1, il principe deve abbandonare i locali. Si trasferisce al Real Saragozza, ma è evidente a tutti che si tratta di un sentimento messo soltanto in pausa. Quei sogni così amorevolmente allevati torneranno ad essere lucidati.

Il secondo tempo di questo amore esuberante inizia con modalità rocambolesche. Primo settembre 2008, ultimo giorno utile per tessere trame di calciomercato. Il patron Enrico Preziosi si è convinto solo al sabato sera che Milito gli serve di nuovo. Adesso siamo a lunedì. L’agente Federico Pastorello redige freneticamente l’accordo e lo spedisce via fax, quando sono le 18.55. Stampa tutta la documentazione e la consegna nelle mani madide di un collaboratore. Quando questo arriva al box del Genoa però il gong è già suonato. Sono le 19.02. Disperato, Pastorello afferra il documento e lo lancia oltre le pareti che cingono la postazione del Grifone. L’affare non salta per un soffio.

E chissà come si sarebbe avvitato diversamente il destino, se quel secondo appuntamento sotto alla Lanterna si fosse smaterializzato. In quell’unica stagione del ritorno, il Principe caricherà la sua versione migliore. La fetta rossoblu del Marassi si stropiccia le palpebre. Destro, sinistro, girate di testa, finte, controfinte e, ovviamente, sterzate in quantità. C'è però un altro tratto potente che contribuisce a marcare la misura del calciatore e che si manifesta nei momenti decisivi: quando la sfida assume un peso specifico consistente, lui timbra. Prendere i due derby di Genova di quella stagione per credere. In entrambi spicca, prepotente legge del più forte, la sua firma. Diego Alberto è un rapace raro. Un rapinatore d'area seriale. Uno di quegli attaccanti che sanno mettere a reddito spizzate e suggerimenti nati da flipper. Però nel primo dei due confronti ricorda a tutti come sia capace di fare anche altro. Piazzato per il Genoa che spiove verso il centro, Milito arretra venendo incontro, decolla verso il cielo e con una complessa torsione del capo gira una botta siderale sotto l'incrocio. Non va meglio alla Samp di Cassano e Pazzini al ritorno. Finisce 3-1 per il grifone e per due volte c'è l'affondo di Diego. Stavolta sì. Stavolta il cinismo erompe in tutta la sua straripante essenza. Prima una zampata, appostato sul secondo palo, per correggere dentro una deviazione di testa. Poi la punizione per un disimpegno sanguinoso del Doria, un rimpallo che giunge in area e che lui capitalizza con un sinistro glaciale. Esserci spesso, ma specialmente quando conta. Come in una finale di Champions, per dirne una.

Alla fine, faranno 24 gol in 31 presenze. Dietro solo a Zlatan Ibrahimovic, che ne segna uno in più con la maglia dell’Inter. La successiva tappa iscritta nel suo destino. Quella più scintillante.

Diego Alberto Milito al Genoa resterà, tuttavia, la rappresentazione più romantica del suo passaggio in Italia. Un purosangue argentino come un sabato di festa. Il preludio a qualcosa di migliore. La primavera calcistica di un Principe con il grifone inciso sul cuore.

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