Vado-Udinese, cento anni dopo: l'8 dicembre 2022 la squadra ligure oggi militante in Serie D affronterà le zebrette friulane in quella che apparentemente sembrerebbe solo una delle tante amichevoli per tenere in forma i giocatori di Serie A impegnati nella lunga pausa dei Mondiali d'inverno. Ma non è così: la sfida cadrà nel centenario della prima finale di Coppa Italia che nel 1922, il 16 luglio per l'esattezza, oppose proprio i rossoblu del piccolo comune in provincia di Savona e i bianconeri di Udine. Finì 1 a 0 per il Vado, che alzò così l'unico trofeo della sua storia.
A decidere la sfida, dopo due tempi supplementari, al minuto 118 fu Virgilio Levratto, 18enne enfant du pays che da Vado iniziò una lunga carriera che lo avrebbe portato a giocare per il Genoa, l'Inter e la Lazio e a vincere il bronzo olimpico con l'Italia a Amsterdam nel 1928. Allo stadio Campo di Leo di Vado Ligure i padroni di casa si imposero a sorpresa con i favoriti bianconeri. Storie di Calcio racconta di una squadra figlia del territorio, giovane e in larga parte simbolo delle battaglie che nei due anni precedenti a Vado, porto di mare tornato di recente all'onore delle cronache per i grandi interessi cinesi sui suoi terminal, gli scioperanti avevano combattuto reclamando salari più alti e garanzie sociali
"Una squadra operaia", dunque, che "nell’anno di Mussolini, sembra emblematicamente chiudere un’epoca di conflitti e di speranze controverse infrante nel grande buio del fascismo" prossimo a salire al potere. Oggi, ricorda Storie di Calcio, "non ci sono più in vita i protagonisti di quella finale, non c’è più lo stadio del trionfo, come non c’è più la vera Coppa Italia in argento del peso di 8,250 grammi, immolata alla patria nel 1935, cioè donata alla segreteria federale del partito fascista dopo le sanzioni della Società delle Nazioni per l’aggressione all’Etiopia", e sostituita solo nel 1992 da un trofeo donato dalla Figc e esposto nella vetrina della banca Cassa di Risparmio di Savona.
Resta però il ricordo di una squadra che seppe far sua l'edizione sperimentale della Coppa Italia che permette allo spesso snobbato torneo di poter celebrare il suo centenario quest'anno, nonostante un'anomala pausa di sedici anni che avrebbe portato la successiva edizione regolarmente terminata a svolgersi solo nel 1936. Anche allora, nonostante lo snobismo di molte grandi (dalla Pro Vercelli alla Juventus) l'impresa del Vado fu notevole, militando i rossoblu in Promozione, la seconda categoria nazionale.
In un torneo in cui figuravano ai nastri di partenza squadre dai nomi dal sapore antico come il Fanfulla Lodi, l'Enotria Gollardo con sede a Crescenzago e i Forti e Liberi di Forlì, oltre a nobili della provincia come Lucchese e Triestina, il Vado fece percorso netto. Battè 4-3 al primo turno i genovesi della Fiorente; battè poi 5-1 un'altra compagine genovese, la Molassana, che esiste ancora e gioca in Eccellenza. Al terzo turno regolò una delle favorite del torneo, la Juventus Italia di Milano, per 2 a 0. Battè 1-0 la Pro Livorno, ancora oggi nei campionati regionali toscani, ai quarti, e vinse ancora 1-0 ai supplementari in semifinale la Libertas Firenze, sezione calcistica di un'antica società ginnica del capoluogo toscano.
Sempre 1-0 il risultato in finale: decisive dai quarti in avanti le parate di Achille Babboni, assieme ai fratelli Lino e Giovanni Battista co-fondatore del club nel 1913. Babboni, uno dei primi portieri a sdoganare la parata col pugno, rimase dilettante; Levratto fu innalzato dalla vittoria verso gli allori del professionismo. Il lampo del Vado condensato in questo chiasmo sportivo che un secolo dopo fa provare nostalgia per un calcio pionieristico e romantico, meno tattico ma sincero nella passione. Capace di eternare negli appassionati il ricordo di intere città.
Che l'8 dicembre rivivrà rendendo, per un giorno, Vado nuovamente capitale del calcio italiano. Chiudendo un secolo in cui pochi eventi, oltre a quelli sportivi, hanno portato la quieta borgata ligure alla ribalta.
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