A volte anche dieci anni sono abbastanza. Il piccolo Leo Perisic li porta appresso trotterellando per il campo, al tramonto di una partita stordente, una di quelle che un minuto ti ci fa credere ed un istante più tardi ti ritrovi a faccia in giù nell’erba soffice, maledicendo la tua divinità calcistica. Che poi è più o meno quello che deve avere provato Neymar dopo la fibrillante roulette qatariota dei rigori, con tutte quelle maglie a scacchi bianchi e rossi che ti sfilano accanto, incuranti del delitto di lesa maestà. Il Brasile è accompagnato alla porta, Croazia che procede adesso contro gli argentini, pronostici triturati, spina della samba staccata senza ritegno.
O’Ney ci soffre tre volte. Una perché lui la gara era riuscita a stapparla con una giocata lacerante, proprio quando la retroguardia croata pareva un caveau inespugnabile. Di volontà, di forza, di talento, oltre quella muraglia di avversari, facendo a spallate, saltando anche il portiere, per poi lasciare andare quel destro sibilante sotto l’incrocio. Una seconda, perché era lui l’auriga della fuoriserie brasiliana, l’eletto chiamato a ripristinare il corretto flusso di una storia troppo spesso, di recente, arenata sulle infide scogliere dei quarti di finale. Terzo, perché il suo è forse il popolo che vive l’identificazione più profonda con il pallone che rotola, motivo di riscatto dall’opprimente povertà che grava sui sobborghi più malandati come una nube cinerea, anelito di speranza per decine di migliaia di bambini che danzano più forte della sfortuna con la palla, rigorosamente a piedi scalzi.
Ed è un bambino anche quello che adesso gli viene incontro, quando un tetro epilogo si srotola sopra il mondiale verdeoro. Si chiama Leo, ed è il figlio di Ivan Perisic. Indossa anche lui una maglia a scacchi, seppure in miniatura, con sopra impresso il numero quattro e le tre lettere del suo nome. Intorno a Neymar ci sono il padre e Dani Alves. L’asso della Seleção ha gli occhi lucidi e l’anima sgonfia di chi sa che la storia non passerà molte altre volte di qui. Dentro al petto rimbalza la delusione opprimente di chi ha stretto tra le falangi un sogno scivolato via.
Leo ha soltanto dieci anni e, forse anche per questo, fa quello che gli viene più naturale. Si avvicina e gli stringe la mano. Neymar prima lo scruta sorpreso, poi gli slaccia un sorriso. Quindi lo stringe a sé, lo abbraccia, gli sfrega la testa.
Per una manciata di istanti la tristezza è coperta da quel gesto balsamico, incantevole poiché genuino, inatteso, gratuito. Leo Perisic lo saluta e torna dalla sua famiglia, soddisfatto di essere stato un portatore sano di felicità. Una cosa che, a pensarci bene, se ne frega della carta d’identità.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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