Un generale col giglio sul petto: quando Passarella si prese Firenze

L'argentino arrivò in Toscana nel 1982 e alla viola giocò per quattro anni: dopo un incipit complicato prese la cloche della difesa e pilotò la Fiorentina con classe e ferocia

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A volte la vita è un incidente stradale che si mette di traverso, un camion che sterza, tu che vai a sbattere, il rumore di ossa che si infrangono, la fortuna di essere comunque rimasti appesi a questa esistenza. Il problema è che Daniel Passarella ha soltanto 9 anni e tutto ancora da fare. Vive a Chacabuco, nella profonda Pampa argentina. Segni particolari: respira calcio e mostra già un buon talento. Così quando il medico scuote la testa lui si rifiuta di crederci. Ok, la gamba destra è andata in frantumi, ma figuriamoci se si sogna di mollare. Viene dimesso, lo dispongono in poltrona e lui attende quella guarigione per un tempo indefinito. Fermo però non può stare. Recupera un pallone e, visto che il destro è malconcio, si mette a farlo rimbalzare in casa usando l'altro piede. Nasce così l'educazione solenne del piede debole che, a forza di essere sollecitato, diventa prodigioso.

Un potente salto temporale in avanti lo vede issare al cielo la coppa del mondo con la sua Argentina, nel 1976. Farò lo stesso nel 1986, ma senza essere protagonista. Nel frattempo è diventato il leader carismatico della difesa del River Plate. Di lui colpiscono molte cose. Anche se sembra annegare in quel completo sformato, anche se è alto soltanto 1 metro e 74, sembra uno scoglio sempre in grado di ridurre in poltiglia le ambizioni altrui. Perché un'altra cosa che Passarella ama è volare. Così, anche se non è un gigante, si allena per una vita nel salto. Capisce come fare un terzo tempo quasi oltraggioso per gli avversari, perché lui vuole stare lassù fregandosene della gravità e spesso sovrasta gli arieti. Non basta: Daniel è armato da una determinazione feroce. Non tira mai indietro la gamba, si getta nella ressa, eleva la ruvidità a virtù.

Passarella e Antognoni
Passarella calcia sotto lo sguardo di Antognoni

Però poi, quando si tratta di calciare, con quel sinistro snuda una delicatezza surreale. Segna e fa segnare. Passarella è un concentrato di doti calcistiche e morali. La folla è in deliquio. E subito lo ribattezza "Caudillo", generale, perché nella zona di campo in cui agisce come libero vengono disfatti i tentativi altrui. Daniel governa e vince. Abbastanza per attirare i fanali dei top club europei. Lo vogliono il Real Madrid e la Roma, ma se lo aggiudica la Fiorentina dei conti Pontello. Il prezzo del cartellino, in quell'estate del 1982 - proprio dopo i mondiali che ci vedono campioni del mondo - è di 1 miliardo e 600 milioni di lire.

I tifosi viola lo accolgono raggianti, ma lui ci mette un po' ad ingranare. Il fatto è che in Argentina aveva più libertà di movimento, mentre adesso mister De Sisti pretende che resti più bloccato dietro. Digeriti il tatticismi italiani però, Passarella diventa dominante. E la sua inclinazione al gol torna ad essere soddisfatta: di testa, con siluri da fuori area e con la specialità della casa, un vellutato calcio piazzato. Nella stagione 1985-86, quando contribuisce a trascinare la Fiorentina al terzo posto in campionato, ne fa addirittura 11, diventando il difensore più prolifico in un'annata di Serie A. Soltanto Marco Materazzi riuscirà a strappargli il record facendone 12, a inizi duemila. Nel complesso, con la maglia viola, ne farà 35 in 139 presenze.

Quello che di lui più conquista resta però l'atteggiamento: Daniel è un lottatore irredimibile. Uno che accetta la contesa senza timore. Uno disposto a spappolarsi sul campo per la squadra.

I tifosi lo adorano e, anche per questo, quando lascia la viola dopo un regno difensivo durato quattro anni, per andare all'Inter, il sentimento non può essere quello dell'acrimonia. Un generale, in riva all'Arno, non l'hanno visto spesso.

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