"I soldi non c'entrano. Quei baby campioni malati di vittoria si sentono onnipotenti"

La psichiatra esperta di ludopatia: "Se a 20 anni guadagni milioni e sei un divo, pensi di essere immortale. Tra senso di impunità e annullamento della realtà"

"I soldi non c'entrano. Quei baby campioni malati di vittoria si sentono onnipotenti"
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Sono trascorsi 43 anni dal primo scandalo calcioscommesse del 1980 (seguito nell'86 dall'inchiesta totonero-bis e dalla scommessopoli del 2011). Ora ci risiamo. Cambia la cornice del quadro, ma la tela rimane la stessa.

All'epoca della madre di tutte le puntate sporche, un manipolo di baby-calciatori scommetteva chiamando col gettone telefonico personaggi folcloristici come er fruttarolo Massimo Cruciani e er còco Alvaro Trinca (titolare del ristorante «La Lampara» a Roma); in tempi recenti un, non meglio precisato numero di campioni-bamboccioni, avrebbe azzardato e perso centinaia di migliaia di euro con un semplice clic sull'inseparabile telefonino che qualcuno degli indagati - sta svelando «Furbizio» Corona - si sarebbe addirittura «portato in panchina» per scommettere in diretta mentre «la propria squadra stava giocando». Ieri come oggi i protagonisti sono giovani calciatori dal conto in banca stellare.

Dottoressa Vera Slepoj (psicologa, scrittrice ed esperta di devianze e meccanismi di controllo sociale), tutti si fanno la stessa domanda: com'è possibile che dei 20enni milionari, famosi e ammirati, scommettano per soldi?

«No, siamo fuori strada. Qui i soldi non c'entrano nulla».

Cioè?

«La ludopatia in questo caso non nasce dalla sete di guadagno economico, ma è figlia di immaturità, noia e fame di vittoria emotiva».

Ci spieghi meglio...

«Questi ragazzi guadagnano milioni, sono delle star. Celebrati dai tifosi. Coccolati da club e procuratori, sono malati di vittoria».

E quindi?

«Non vedono più la linea di confine tra realtà e finzione. Tra ciò che è lecito e ciò che è un reato».

Avatar patologici di se stessi?

«Si credono immortali. Divinità onnipotenti. Al di sopra delle leggi che il senso di impunità non gli fa percepire come tali».

Un delirio di cui i loro procuratori e i club di appartenenza è impossibile non si siano accorti. Perché non sono intervenuti in qualche modo?

«Perché il mondo del calcio è privo di qualsiasi codice etico- morale. Un ambiente dove invece del valore dell'aiuto vige il disvalore dell'omertà. L'importante è fare business. E ciò che è estraneo a questo meccanismo, va taciuto».

C'è una via per uscire dalla ludopatia?

«La strada è quella della crescita. Uscire dalla schiavitù del gioco significa accettare la realtà per quella che è davvero, non attraverso il filtro della finzione virtuale».

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